RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Madrid

L'atteso ritorno del Faust

Da tempo non si vedeva al Teatro Real il capolavoro di Gounod. Il risultato – sempre con due compagnie di canto e un solo direttore – era senza dubbio interessante, ma con diverse pecche. Il nuovo allestimento della notissima Fura dels Baus (per la regia di Àlex Ollé) aveva avuto il battesimo ad Amsterdam e per certi versi – il quartiere a luci rosse, inverosimile cornice per il terzo atto, proprio quello del giardino – sembrava proprio pensato per quella città. Poi, si sa, moltissimi effetti di luci e tecnici, grande spettacolo e... poco più. Qualche momento davvero azzeccato, come la scena della chiesa con il diavolo mascherato da falso Cristo, cozzava con il più che volgare quadro delle notti di Walpurgis, dove mancavano frammenti musicali.

La direzione dell'eccellente orchestra del Teatro veniva affidata a Dan Ettinger, come al solito corretto, ma sempre forte, scarse sfumature, e forse l'unico momento di vera emozione era quello – meraviglioso ma che per tradizione sbagliata si suol tagliare – con Marguerite che si lamenta dell'assenza di Faust (Il ne revient pas).

Protagonista nel primo cast era il grandissimo Piotr Beczala in una serata davvero gloriosa dove dimostrava che può cantare un certo Wagner senza effetto alcuno sul suo repertorio abituale. Ismael Jordi, secondo Faust, non ha quella voce e tecnica privilegiate nè il superiore senso dello stile francese e del fraseggio elegante e virile, ma il suo dottore era molto bravo, e avrebbe sicuramente brillato di più con un altro maestro: bravo cantante e interprete più che volenteroso.

Il primo Méphisto significava il debutto nel ruolo di Luca Pisaroni: purtroppo la voce chiara e quasi baritonale non era all'altezza della sua buona interpretazione, e preoccupa (vedi il suo ultimo Pizzarro alla Scala) che stia sbagliando nella scelta di un nuovo repertorio. Il secondo doveva essere Erwin Schrott, ma abbiamo avuto invece un giovane polacco, Adam Palka, che sembra un po'ossessionato dal suono e dal colore scuro: li ha di certo – la voce presenta enormi possibilità – ma i momenti fissi e ingolati non sono pochi, ed è anche troppo buffo e si spinge più di una volta sull'orlo del volgare – si capisce che è la messinscena che lo porta in quella direzione ma ancora non sa frenare. A Marguerite davano voce e figura Marina Rebeka e Irina Lungu. La prima ha una voce d'importanza ma troppo opaca e con un francese poco comprensibile; la seconda risulta troppo leggera per la parte. Cantavano e interpretavano bene quella specie di bambola-Lolita (i trilli, come si sa, oggi sono solo un optional e quindi li aspettiamo per un'altra volta) ma non si trattava di una prova che resti nel ricordo.

Stéphane Degout era un ottimo Valentin: la voce sta diventando più scura anche se in qualche punto la tessitura non gli risulta ancora comodissima. Dal canto suo, John Chest evidenziava, rispetto alla prestazione a Tolosa qui recensita, enormi progressi, e forse meglio nella scena della morte che nell'aria di sortita. Entrambi si mostravano anche artisti disinvolti. Francamente non credo che per il personaggio di Siebel – e ancora meno per quello di Marthe – ci sia bisogno di due cantanti diverse, ma qui le abbiamo avute, e tanto meglio. Due mezzosoprani italiani nel primo caso – ma non era che questo ruolo en travesti veniva scritto per un soprano? – Serena Malfi e Annalisa Stroppa, molto brave sia l'una che l'altra, benchè direi che per qualità di timbro e di canto sia leggermente superiore la seconda, perché lo sviluppo dello strumento della Malfi sembra accompagnarsi a un acuto molto metallico. La confidente erano Sylvie Brunet-Grupposo (più esuberante) e Diane Montague (una cantante ancora di grande categoria). Isaac Galán cantava un bravo Wagner.

Magnifico come al suo solito il coro, con qualche acuto stentoreo del settore maschile nel grande intervento del quarto atto, istruito da Andrés Máspero.

Jorge Binaghi

11/10/2018

La foto del servizio è di Javier del Real.