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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Milano

Importante oratorio di Haendel

Un oratorio in inglese che risulta molto simile a un'opera, come capita spesso con Haendel, torna alla forma di concerto in una tournée europea che è finita poco fa a Parigi. Theodora è comunque un titolo bellissimo del caro Sassone, il penultimo oratorio di una lunga serie e con un soggetto tipico di un ‘peplum', tra Quo vadis? e La tunica per quanto riguarda la trama e annuncia, per esempio, quello del Poliuto di Donizetti. Le arie sono difficili ma non per il virtuosismo (non molto se facciamo un raffronto con altri titoli), ma per la carica espressiva, particularmente nel caso dei cristiano e del pagano tollerante (un ruolo che Michael Spyres fa suo dalla prima all'ultima parola ottenendo un trionfo personale nel – finalmente – suo debutto alla sala del Piermarini). Il coro, che deve incarnare sia pagani sia cristiani, è davvero esultante nel primo caso, e adeguatamente virtuoso e riflessivo nel secondo.

Molto buono il lavoro dell'orchestra Il Pomo d'Oro, diretta dal clavicembalo da Maxim Emelyanychev, ovviamente un conoscitore e un bravo maestro sebbene il suo gesto personalmente non finisca di convincermi e più di una volta mi faccia perdere il filo. Gli altri solisti erano quasi tutti di lusso e sono stati forse la ragione che attirava tanti spetattori fino a riempire la sala. C'erano molti giovani (e quindi torniamo al discorso dell'interesse che il barocco desta in loro) e molto attenti (eccezione fatta dei tri signorini piazzati proprio davanti al sottoscritto che poche volte alzavano la testa sommersa nei loro cellulari con cose apparentemente molto comiche: dovrei essere grato del fatto che non suonavano ma comunque la luce dava un fastidio enorme e non c'è stato santo o martire che riuscisse a farglieli spegnere).

A parte l'esimio Spyres come Septimius, gli altri signori della compagnia non arrivavano al suo livello: il cattivo malvado Valens di John Chest (un baritono nella parte di un basso, e cantava molto bene ma non brillava che in qualche frase sparsa); il controtenore Paul-Antoine Bénos-Djian (Didimus, il classico romano converso segretamente per amore e quindi difensore dei cristiani e in particolare della sua Teodora, ricambiato talmente che finiscono col subire il martirio insieme) in un ruolo che avrebbe fatto le delizie di un Andreas Scholl o di un Philippe Jaroussky dei primi tempi, ma la voce non è particolarmente bella anche se ha tecnica e stile da vendere e, come gli altri, cerca di esprimere il dramma personale nell'interazione con gli altri personaggi.

Il piccolo ruolo del Messaggero era fonte di soddisfazione per uno dei membri del coro, il tenore Massimo Lombardi. Due sole le voci femminili, ma in realtà dominano la partitura con una grande quantità di arie e recitativi. Anche se il soprano ha il ruolo del titolo, e Lisette Oropesa lo canta molto bene con grande distinzione ma una voce poco personale e in più è buona interprete, l'altra cristiana e amica Irene (mezzo) non è da meno e ha una più grande varietà di emozioni da esprimere: la prima è sempre ossessionata dalla virtù e dal sagrifizio, la seconda accompagna, compiange e commenta o narra: dal mio punto di vista è la vera protagonista con delle arie meravigliose (le due consecutive della prima parte basterebbero a conquistare la serata: ‘Bane of virtue, nurse of passions' e soprattutto ‘As with rosy steps the morn'). Siccome in questo repertorio oggi DiDonato ha poche rivali e può avvalersi delle sue migliori qualità (in primis le messe di voce, il fraseggio accurato dove non si trascura una sola parola, con poi quella magnifica dizione) sue erano le ovazioni più frenetiche durante il concerto ma anche alla fine. Una serata indimenticabile per un titolo che credo entri così con tutti gli onori alla Scala.

Jorge Binaghi

30/11/2021

La foto del servizio è di Brescia & Amisano.