RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Como

Una rara Ifigenia

Iphigénie en Tauride di Gluck è tornata ancora una volta dalla mano di quella gran tragica che ha per nome Anna Caterina Antonacci. Vicina già, per decisione personale, alla fine della carriera, quest'immensa artista torna a un ruolo che aveva debuttato per la prima volta più di cinque anni fa a Ginevra e che la stagione scorsa si doveva vedere al circuito lombardo, ma non fu possibile per le ormai troppo note ragioni. Per fortuna in questa stagione si è potuto fare. In linee di massima l'interpretazione è sempre superlativa e perfino più ‘essenziale', anche grazie al nuovo allestimento che firma Emma Dante, una versione molto scarna, semplice e sobria del mito classico senza andare contro il suo stile di regia ma anche senza tradire la tradizione del mito: anzi, in alcuni momenti come la preparazione del sacrificio umano siamo molto vicini a un vero rituale di tragedia greca – la musica di Gluck ci sta a meraviglia – in uno spazio atemporale con solo qualche indizio in alcui costumi. I recitativi dell'Antonacci (così come la ormai celebre padronanza del francese) costituiscono una lezione per sé stessi e il canto (con qualche acuto più metallico) inappuntabile e modello di stile, senza la minima concessione a effetti (ed effettacci) che oggi passano per intensità d'interpretazione. Otteneva un meritato successo, ma va notato anche che in Teatro c'erano dei colleghi più giovani che erano andati anche per amicizia ed ammirazione ma anche per imparare, e forse questa è la cosa più rara di questa davvero rara (in tutti i sensi) Ifigenia. Se fra tutte le arie dovessi scegliere una non sarebbe la più celebre ‘malheureuse Iphigénie' (resa fantasticamente con il giusto equilibrio fra emozione e ritegno) ma quella che, preceduta di un grande recitativo, inizia l'atto terzo, ‘D'une image'. Il coro ha un posto importante nella struttura dell'opera e i membri del Coro Opera Lombardia, istruito da Massimo Fiocchi Malaspina lo faceva parecchio bene, in particolare la sezione femminile, qui decisamente più importante.

L'orchestra I Pomeriggi Musicali era molto impegnata sotto la guida, in questo repertorio molto adeguata, di Diego Fasolis sebbene forse per sottolineare il carattere ‘barbaro' degli sciti sceglieva tempi vertiginosi e aspri per i loro interventi. La coreografia disegnata da Sandro Campagna era eccellente, anche in particolare per quanto riguardava le sacerdotesse di Diana (ruolo ben cantato, come anche quello di una donna greca, da Marta Leung). Le parti di fianco, a posto. Degli altri solisti, se il tenore Mert Süngü (probabilmente non nella miglior forma – sono due recite per città) ha una voce bella e bene educata ma aveva alcuni problemi nel difficile ruolo di Pilade, pure interpretato correttamente, va detto che con un materiale vocale molto modesto e anche un po' stimbrato in acuto Bruno Taddia era un più che buon Oreste, cercando anche di caratterizzare il personaggio perfino con le sue limitazioni. Michele Patti è piuttosto un baritono anziché il basso previsto per Tohas, e in verità esibeva un vocione piuttosto opaco e per niente controllato e per di più con un francese chiaramente perfettibile. Il pubblico non riempiva la sala ma c'era una buona assistenza e le reazioni erano molto effusive.

Jorge Binaghi

30/11/2021

La foto del servizio è di Alessia Santambrogio.