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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Musicologia col martello

Problemi e contraddizioni della musica nel mondo contemporaneo

Uscito lo scorso gennaio, il volume La scomparsa della musica non è altro che una lunga e circostanziata discussione fra Antonello Cresti, Renzo Cresti e Stefano Sissa sulla funzione della musica nella realtà contemporanea, sulla sua ricezione dalla parte della gente, sulla sua diffusione e anche sulla sua commercializzazione e sugli aspetti economico-finanziari dai quali è determinata e che essa stessa a sua volta determina all'interno del tessuto sociale.

Il libro si avvale di due illuminanti prefazioni di Donella Del Monaco e di Enrica Perucchietti, ma proprio quest'ultima ci introduce subito nel vivo del dibattito che seguirà annotando: «La musica è dappertutto, ci segue dall'ufficio al supermercato, dal centralino di un call center alla nostra auto. Serve per distrarre, colmare il silenzio, sedare. Gli autori mostrano come la diffusione della musica serva ad esorcizzare il nulla, quel nulla che viene promosso e amplificato per vendere altre merci e continuare a generare disperazione».

Infatti per gli autori la musica nella nostra società moderna e contemporanea assume sempre più una funzione di riempitivo del vuoto esistenziale, specialmente la musica leggera: «La musica pop diventa, inevitabilmente, come lo stesso nome dice, comune, ordinaria, volgare sia nel senso che si rivolge al volgo sia in quello di rozzo e triviale. Il commercio impone i bisogni e trascina con sé il popolare, parola un tempo apprezzabile ora divenuta sinonimo di grossolano. L'autenticità, così cara ad Adorno, si è completamente persa e la musica è scomparsa con essa».

Pertanto chi non ha avuto una buona educazione musicale non riesce bene a discernere qualità e limiti di una composizione o di un'esecuzione. Anche l'ascolto di musica a volume molto elevato dovuto a eccesso di amplificazione del suono (cosa oramai praticata anche nell'opera lirica specie nelle esecuzioni en plein air) ha fatto sì che le sfumature sonore, che vanno dal piano al mezzo piano, dal forte al mezzo forte, dal forte al fortissimo e viceversa dal piano al pianissimo, non vengono più percepite da un pubblico per il quale la piattezza del suono è oramai una regola assoluta.

L'appiattimento del gusto musicale investe anche la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani musicisti: «L'inserimento dei giovani che hanno studiato in Conservatorio nel mondo del lavoro è assai problematico, in quanto, quando escono della scuola, trovano il deserto ossia un disinteressamento alla musica di qualità. L'(in)civiltà dei consumi richiede una musica gastronomica, esalta la funzione ludica, una musica intesa come passatempo, come riempimento degli spazi vuoti della mente e del cuore».

La stessa funzione gastronomica affligge oramai anche certa critica musicale sempre più relegata in un limbo nel quale l'approvazione incondizionata e acquiescente resta quella che di fatto è sempre bene accetta, in quanto garantirebbe la pace sociale, e pertanto notiamo nelle riviste giudizi sempre indulgenti, benevoli e positivi. Se il critico si permette di avanzare dubbi o perplessità sulla qualità di una composizione oppure su una performance, allora viene subito tacciato di eccesso di zelo, di snobismo, di “ricerca del pelo nell'uovo”. Per questo motivo anche la critica sembra sempre più dissolversi in un vago e asettico consenso sociale, sempre più dolciastro, sempre più melenso, sempre più generico, sempre più neutro e impersonale. «La musica non è sparita dalla società, anzi, se ne fa moltissima. La musica non è sparita come soggetto sociologico, anzi fornisce molti spunti di riflessioni, come dimostra questa intervista. La musica è sparita perché è vuota di senso musicale; è una musica senza qualità, senza requisiti peculiari al suo essere musica».

Il saggio individua bene anche i limiti di quel luogo comune di ascendenza ottocentesca che tende a vedere nel musicista l'uomo eccelso per eccellenza: «La biografia degli artisti ci dice che, spesso, la grandezza che viene espressa nelle opere non compare in quella biografica. Erano i romantici che credevano a un abbinamento stretto fra arte e vita, ma raramente a un grande artista corrisponde un grande uomo. Si può dunque essere un ottimo musicista, propulsivo e consapevole del proprio operare, e un uomo dalla vita conformistica (o viceversa, un uomo pieno di idee geniali e un artista che non sa realizzarle).»

L'utile e stimolante volume, edito dalla casa editrice Nova Europa, viene concluso in modo pertinente da due appendici: la prima intitolata L'arte della mercificazione della musica o la mercificazione dell'arte musica di Pino Bertelli e la seconda Pensieri vari sull'estetica di Giancarlo Cardini, che approfondiscono ulteriormente le argomentazione già diffusamente trattate ed eviscerate.

Giovanni Pasqualino

24/8/2019