RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Se i morti sono più vivi dei vivi…

David Coco e Roberta Caronia

Secondo titolo in cartellone per la stagione 2019-2020 del teatro Brancati di Catania una produzione del Teatro Biondo di Palermo, Chi vive giace, di Roberto Alajmo, che si proponeva come una commedia nera incentrata su un diverso rapporto tra vivi e morti, rapporto dove i fantasmi dialogano in una sorta di realismo allargato con i vivi e ne possono prendere il posto, in una commistione di ruoli dove la funzione dei defunti è quella di dispensatori di consigli, di commenti su quel che accade, in una parola un rapporto dove chi è morto ha sicuramente più autorità di chi ancora sta su questa terra a tutti gli effetti di legge.

La vicenda, abbastanza esile, narra di una giovane donna deceduta in seguito a un incidente automobilistico; il marito non si rassegna, vorrebbe punire chi l'ha investita, e nasce il sospetto che voglia farlo più per le esortazioni degli amici che per un intimo convincimento. Dall'altra parte, il giovane che ha causato l'incidente e il padre di lui, il macellaio del quartiere, vorrebbero far qualcosa per sanare la situazione, più perché gli affari vanno a rotoli che per un effettivo rimorso. Su questa vicenda umanamente abbastanza scontata si innestano le due presenze dell'al di là, e cioè la giovane moglie del protagonista e l'anziana consorte del macellaio, per certi versi più vive dei vivi e bonarie dispensatrici di precise indicazioni sul come risolvere la faccenda. Il lavoro, strutturato in tre quadri, nel terzo vede un improbabile rendez-vous tra le due famiglie con rispettivi fantasmi, con alla fine una soluzione per certi versi aperta, dato che non si capisce bene se i congiunti dei defunti siano ancora vivi o no, e soprattutto quale sia la motivazione surreale per cui le due signore cominciano a prendersi cura dei familiari esattamente come facevano in vita, cucinando, apparecchiando la tavola e somministrando i pasti.

Riassunta così, la commedia, chiaramente impostata su un ambiguo gioco goticheggiante, poteva anche funzionare, e in effetti nel corso della rappresentazione il pubblico presente in sala rideva abbastanza di frequente: il problema, però, si poneva da un punto di vista strutturale, visto che le battute dei tre episodi componenti il lavoro si riproponevano specularmente in maniera abbastanza ripetitiva, generando una ridondanza e una prevedibilità di fondo che alla lunga stancavano, e delle quali non si riusciva a comprendere la funzione, al di là di quella abbastanza scontata in certo teatro comico di ripetere le battute all'infinito per generare risate che alla lunga però, dato il pubblico ormai scaltrito, cominciavano a latitare.

Di discreto livello, pur con qualche legnosità di fondo e con qualche infelice caduta nel caricato tutta la compagnia, da David Coco, il marito, a Roberta Caronia, la moglie, a Agostino Zumbo, il padre macellaio, a Stefania Blandeburgo, la madre, forse la più tecnicamente agguerrita, per finire con il figlio, impersonato da Claudio Zappalà.

Essenziale e ambigua come il testo la regia di Armando Pugliese, coadiuvata dalle scene di Andrea Taddei, dai costumi di Dora Argento e dalle luci di Gaetano La Mela, mentre le musiche di scena erano di Nicola Piovani.

Repliche fino al 24 novembre, con una ripresa dal 2 al 5 aprile 2020.

Giuliana Cutore

16/11/2019

La foto del servizio è di Rosellina Garbo.