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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Orfeo tra mito e musical

La rivisitazione in chiave più o meno colta e alternativa dei principali miti della Grecia classica e della latinità sembra ormai essere divenuta una delle linee principali non solo della narrativa contemporanea, ma anche del teatro, soprattutto di prosa, forse per le possibilità che dà all'attore, che più spesso è anche autore di questi pastiches (intesi nel senso più letterale del termine), di imbastire su una trama definita da secoli una serie infinita di variazioni atte a sottolineare un aspetto magari trascurato dalla tradizione, un risvolto psicanalitico del personaggio, un'affinità col mondo contemporaneo e via di seguito. Si tratta ovviamente di un'operazione che richiede grande cultura e sensibilità, e che non può in alcun modo essere affidata né all'improvvisazione, né alla volontà di ri-creare comunque sia un mito; certo, la fortuna toccata a Valerio Massimo Manfredi con le sue geniali narrazioni sul mondo classico può costituire una notevole tentazione, ma non va dimenticato, per spirito di umiltà, che Manfredi è anche uno dei massimi esperti viventi del mondo classico…

Comunque sia, il mito è sempre ben gradito al pubblico, prova ne sia la corte del Castello Ursino di Catania pressoché stracolma la sera del 31 agosto per Orfeo di Salvatore Guglielmino, primo degli appuntamenti di Mitoff, una rassegna dedicata al teatro classico, rassegna inserita nel cartellone Summer Fest, e patrocinata dal Comune di Catania. Si trattava, in buona sostanza, di una rivisitazione del mito di Orfeo, il cantore innamorato della ninfa Euridice, imbastita a partire dalle fonti classiche, Ovidio e Virgilio in prima linea, ma anche il poeta elegiaco Fanocle, del III sec. a.C. del quale ci rimangono pochi frammenti, e con spunti più strettamente moderni dovuti a Pavese, più qualche citazione da Dante e accenni scenografici e acustici alla nekuya dell'XI libro dell'Odissea. L'impianto scenografico, che sfruttava la bella corte del nostro castello medievale, era dovuto, come le musiche (riviste da Giuseppe Romeo), la regia, le liriche e i dialoghi, alla poliedricità di Salvatore Guglielmino, presente sulla scena nel ruolo di Orfeo, coadiuvato da Martina Minissale, Euridice, e Alice Ferlito, Persefone.

Il lavoro, un atto unico della durata di circa un'ora e dieci minuti, si proponeva al pubblico come una drammatizzazione della discesa agli Inferi di Orfeo e del suo tentativo fallito di riportare in vita la moglie Euridice: non mancava il ruolo di corifea affidato a Persefone, che introduceva l'azione, la commentava e la guidava all'epilogo, il tutto con grande dovizia di riferimenti mitologici abbastanza ben amalgamati riguardo alla discendenza divina di Orfeo, alla persecuzione amorosa di Aristeo nei confronti di Euridice, persecuzione che la condurrà a essere morsa dalla serpe, alla morte del cantore a opera delle donne tracie, pur se con una ipertrofizzazione del ruolo del musico come fondatore della pederastia abbastanza discutibile per quanto riguarda il trattamento, ai limiti della dissociazione psichica, della figura di Euridice, più volte, e non si sa perché, citata come Eurìdice in barba a ogni nomenclatura classica, giacché il nome greco originale porta inequivocabilmente, per ovvi motivi dovuti alle regole di accentazione greca, l'accento sulla penultima e non sulla terzultima sillaba.

Il testo, pur se discretamente condotto da un punto di vista strutturale, evidenziava purtroppo un'ossessiva dedizione alla rima baciata, con un effetto generale di filastrocca infantile e con notevoli ingenuità e fastidiose ridondanze nel vocabolario usato; insomma, una versificazione sin troppo primitiva per un copione che pretendeva di affondare le sue radici in poeti della levatura di Virgilio e Ovidio, che riteniamo non abbiano trascorso una nottata serena nei loro avelli!

Ma ciò che più infastidiva, e che ha infastidito il pubblico con scoppi non tanto rattenuti di ilarità, è stato l'aspetto musicale di tutta la faccenda, più simile a un musical o a uno dei tanti film di animazione della Walt Disney, dove almeno non solo il destinatario è un pubblico infantile, ma può capitare anche, come ne Il re leone, che le canzoni siano state scritte da un grande della musica leggera come Elton John! Qui invece, l'impianto mitologico strideva a più non posso con testi banali, ossessivamente connotati dalle ridondanze imposte dalla rima baciata, e con musiche dolciastre e armonicamente inesistenti, quanto mai fuor di luogo rispetto alla tragicità e alla ieraticità della vicenda.

Quanto agli attori, non si può dire che abbiano mostrato soverchia professionalità né da un punto di vista mimico né gestuale né tampoco canoro, fatta salva la dizione abbastanza chiara, ma oltremodo piatta nel suo complesso.

Sorge spontanea a questo punto una domanda: con quali criteri il Comune di Catania fornisce il suo patrocinio agli spettacoli estivi? C'è qualcuno che si prende la briga di visionare i copioni, o i video di presentazione prima di accettare di mettere a disposizione strutture e mezzi pagati da tutti i cittadini? Non sarebbe più logico destinare questi fondi, per modesti che siano, a sollevare dal disagio strutture culturali e musicali che forse sarebbero in grado di offrire prodotti di migliore qualità?

Giuliana Cutore

1/9/2019