RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

L'anno di tutte le Tosche

Tosca è tornata per una quindicina di repliche – ancora una volta ma con 'solo' due compagnie per i tre ruoli principali – nello stesso allestimento di cinque anni fa con qualche modifica o cambiamento che non inficia, anzi, questa volta ho trovato meno azzeccato il mio giudizio di allora: “[...] abbiamo una nuova produzione locale – passerà a Siviglia e forse a questo fatto si devono le vergini stile Zurbarán in quella che dovrebbe essere Sant'Andrea della Valle – per la regia di Paco Azorín, parecchio scura – la chiesa risulta più tetra delle stanze di Palazzo Farnese, divenute anche luogo di prigione e tortura – e da atto in atto sempre più astratta, forse con pretese di 'universalità' – anche se si scrivono nei sopratitoli insieme alle ore del giorno i nomi di strade e ponti romani e ovviamente un Castel Santangelo non riconoscibile. Ci sono poi le comparse che accompagnano nella fuga dal carcere Angelotti e simmetricamente Tosca dopo l'uccisione in volute simmetrie che fanno anche dell'inizio di ogni atto l'esatta ripetizione della fine dell'anteriore. L'unica pausa viene collocata dopo l'atto primo; forse è logico ma si priva così della sua efficacia teatrale il finale dell'atto secondo.” Questa volta mi pare – non ricordo esattamente visto che la maggior parte degli allestimenti per me lasciano il tempo che trovano – che avevamo anche il sagrestano un po' dappertutto, e prima dell'arrivo di Cavaradossi il frate viene minacciato da due sospettosi e guardinghi Spoletta e Sciarrone (?).

La parte musicale veniva affidata a John Fiore che debuttava felicemente al Liceu con una più che competente direzione e concertazione senza perdere d'occhio un momento tutti gli orchestrali ma neanche gli artisti sul palcoscenico. Buona la prova dell'orchestra e anche del coro del Teatro, istruito come sempre da Conxita García, e anche il coro infantile Veus, preparato da Josep Vila i Jover. I comprimari meno felici erano il pastore d'Inés Ballesteros (incomprensibile) e il carceriere di Marc Pujol, tonitruante ma senza qualità. Bene Josep-Ramon Oliver (Sciarrone), molto bene Enric Martínez-Castignani, un Sagrestano che compare anche nei due atti successivi e canta anche qualche frase all'unisono con Spoletta – sarà stato per il latino magari, e anche Stefano Palatchi nei panni di Angelotti, ma soprattutto l'eccellente Francisco Vas di nuovo Spoletta di rilievo.

Nel primo cast la prestazione più riuscita e più equilibrata tra voce e interpretazione era quella di Erwin Schrott, uno Scarpia temibile nella sua pretesa affabilità: alcune frasi sorprendevano – non sempre in positivo – ma la personalità dell'artista è tale che il fatto non importava. La voce era rigogliosa e potente e anche in acuto – per un basso o bassobaritono come usasi dire ora sempre difficile – suonava timbratissima e di facile emissione. Da Liudmyla Monastyrska ci si aspettava un'eccellente prova vocale e un'interpretazione generica. È stata meno generica di quanto si pensasse ma in 'compenso' tutto il primo atto era stridulo, senza controllo nell'acuto e senza un piano; per fortuna le cose miglioravano (mai completamente) negli atti successivi. 'Vissi d'arte' ha avuto il suo applauso ma si trattava di una versione onesta e niente più. Jonathan Tetelman (al posto di Fabio Sartori 'per motivi personali') debuttava Mario. Ha una bella presenza, una voce brunita – era baritono fino a tre anni fa, ma non bisognerebbe pensare che se anche Bergonzi incominciava press'a poco così possa capitare a tutti – che non corre facilmente perchè rimane siempre indietro e nella gola. Solo l'acuto si libera, con un certo sforzo visibile quando la nota finisce – un po' tardi perchè il tenore ama le corone, e il pubblico pure; l'interprete è discreto quando non cade nel cattivo gusto ‘di tradizione' alla fine, per esempio, di 'E lucevan le stelle'.

Il secondo cast invece ci consentiva di apprezzare un bel Mario nella linea dei tenori italiani di tradizione (questa volta buona), Roberto Aronica, che cantava bene l'atto primo e molto bene gli altri due con un vero senso del fraseggio e una corretta interpretazione. Tatiana Serjan ha una voce in centro fin troppo enorme, il grave è buono, e l'acuto incomincia a cambiare di colore e di volume ('no, non è ver!' dell'atto secondo, per fare un solo esempio) ma ha cercato di fare qualche piano (nell'atto primo pare che oggi le mezzevoci siano un optional), di dire e di fare bene e senza fare storia mi ha convinto molto di più che l'altra collega. Lucio Gallo è stato fin dall'inizio un attore interessante di voce modesta in tutti gli aspetti. Considerato questo, e che ormai quasi sempre l'emissione è aperta, particolarmente in acuto, ha fatto uno Scarpia anch'esso tradizionale e complessivamente corretto.

Jorge Binaghi

13/6/2019

Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.