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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il metodo compositivo di Bellini divulgato da Agostino Gallo

«secondo le idee manifestategli da lui stesso nel suo soggiorno a Palermo»

 

Agostino Gallo in un ritratto di Giuseppe Patania (Palermo, Biblioteca Comunale)

Nelle biografie di Vincenzo Bellini varie inesattezze sopravvivono inestirpabili da più di un secolo, e ne offre esempio la cosiddetta “lettera” che si immaginò da lui indirizzata ad Agostino Gallo (1790-1872) per confidargli il metodo adoperato durante la sua attività compositiva. Il testo di tale documento da alcuni è stato definito un “falso”, cosicché, perseverando in questo antico errore, un recente biografo del Catanese ha pensato bene di rincarare la dose, parlando di “falso palese”. Si continua così a danneggiare il buon nome del presunto “falsario”, facendolo passare per impostore a cuor leggero e con accusa infondata, come qui si tenterà di dimostrare. Nel 1832 don Agostino ebbe occasione di ospitare Bellini nella sua casa di Palermo per farlo ritrarre dal suo amico pittore Giuseppe Patania, e in tale o in altra propizia circostanza approfittò per farsi spiegare i segreti della sua felice maniera di comporre che nei teatri incontrava il gradimento del pubblico ed eccitava una viva e generale ammirazione; d i sicuro cercò di interpretare e di annotare con scrupolo quanto gli fu riferito, con la manifesta intenzione di farne oggetto di un “articolo” da pubblicare su qualche periodico. Ecco il suo ben noto resoconto:

«Poiché io mi son proposto di scrivere pochi spartiti, non più che uno l'anno, ci adopro tutte le forze dell'ingegno. Persuaso, come sono, che gran parte del loro buon successo dipenda dalla scelta di un tema interessante, dal contrasto delle passioni, dai versi armoniosi e caldi d'espressione, non che dai colpi di scena, mi do briga prima di tutto di avere da pregiato scrittore un dramma perfetto, e quindi ho preferito a chiunque il Romani, potentissimo ingegno, fatto per la drammatica musicale. Compiuto il suo lavoro, studio attentamente il carattere dei personaggi, le passioni che li predominano, e i sentimenti che esprimono. Invaso dagli affetti di ciascun di loro, imagino esser divenuto quel desso che parla, e mi sforzo di sentire e di esprimere efficacemente alla stessa guisa. Conoscendo che la musica risulta da varietà di suoni, e che le passioni degli uomini si appalesano parlando con tuoni diversamente modificati, dall'incessante osservazione di essi ho ricavato la favella del sentimento per l'arte mia. Chiuso quindi nella mia stanza, comincio a declamare la parte del personaggio del dramma con tutto il calore della passione, e osservo intanto le inflessioni della mia voce, l'affrettamento e il languore della pronunzia in questa circostanza, l'accento insomma ed il tuono dell'espressione, che dà la natura all'uomo in balìa delle passioni, e vi trovo i motivi ed i tempi musicali adatti a dimostrarle e trasfonderle in altrui per mezzo dell'armonia. Li gitto tosto sulla carta, li provo al clavicembalo, e quando ne sento io stesso la corrispondente emozione giudico di esserci riuscito. In contrario torno all'ispirarmi finchè abbia conseguito lo scopo».

Lo stile può definirsi epistolare, ma che questa narrazione non appartenga a una “lettera” (ed è auspicabile che non si chiami più così) si apprende in modo inequivocabile da un chiarimento dello stesso compilatore, inserito a p. 59 del volume I manoscritti di Agostino Gallo, edito a Palermo nel 2002 a cura della Biblioteca Centrale. Egli scrisse: «In quella città [Firenze 1843] fui invitato a collaborare al periodico L'Imparziale fiorentino, e vi mandai varie biografie d'illustri siciliani. Ivi fu pubblicato a mia insaputa un articolo sull'estetica musicale di Bellini che avea manoscritto in un album dell'ornatissima signora Amelia Calani poetessa e prosatrice». Fra i due i rapporti erano allora cordialissimi, e lo fanno intendere le seguenti righe della nobildonna: «la notizia del vostro ritorno in Toscana mi ha ricolmato di gioja, e ha fatto piacere a tutta la mia famiglia, non meno che ai comuni amici. Mio marito m'incarica salutarvi, e dirvi che in casa nostra è a vostra disposizione una camera, ed altro se vi piacerà, e che spero non gli vorrete fare il torto di ricusare.» Questo “invito” è in una missiva spedita dalla Calani il 7 giugno 1842 ,e riportata in Lettere e giudizi di uomini illustri del secolo XIX su materie letterarie (Tip. P. Barcellona, Palermo 1865 – visionabile su Internet); fra le note di tale raccolta, composta da numerose lettere (comprese due di Bellini) possedute da Gallo, una ha attinenza con l'argomento qui trattato: «in Firenze [fu pubblicata] altra prosa sull'estetica di quel famoso compositore, secondo le idee manifestategli da lui stesso nel suo soggiorno a Palermo.» Il titolo di codesto “articolo”, Sull'estetica di Vincenzo Bellini – Notizie comunicate da lui stesso al Gallo, conferma due particolari importanti: 1. che non si trattava di “lettera”, bensì di “notizie” conformi alle idee di Bellini; 2. che la pubblicazione avvenne senza che don Agostino ne fosse al corrente. Nel medesimo 1843, per iniziativa di quest'ultimo, ci fu una ristampa a Palermo su L'Occhio - Giornale di scienze, amena letteratura e belle arti, e nel 1859 apparve in un «opuscolo anonimo intitolato La musica ne' suoi principi nuovamente spiegata», e fu riprodotto da Filippo Cicconetti nella sua Vita di Vincenzo Bellini (Prato 1859, pp. 37-9).

Purtroppo non si conosce alcuna di dette pubblicazioni, e può darsi che il contenuto fosse soltanto quello sopra trascritto. Ciò è verosimile, perché Cicconetti, dopo avere asserito che Vincenzo «scrisse egli stesso ad un suo amico di Sicilia qual maniera tenesse nel creare le sue musiche», aggiunse: «Io ho stimato di riportare per intiero questo prezioso documento, che, per avventura conservato da non infingarda amicizia, è scuola di dottissima dottrina » Come si può osservare, questo biografo, con l'espressione «scrisse egli stesso ad un amico di Sicilia», ha lasciato intendere (e sembra che ne fosse persuaso) che si trattasse di una normale lettera; pertanto deve considerarsi il primo responsabile del fraintendimento perpetuatosi fino ai nostri giorni.

Occorre poi tener presente che il racconto, dettato da Bellini in prima persona, è esposto con chiarezza e semplicità, e in esso l'autore di Norma ha evitato di proposito l'uso della terminologia propria della sua arte. Questa cautela può aver tratto in inganno un autorevole musicologo, il quale ha ritenuto che il percorso compositivo e descritto in modo “ dilettantesco ”, e che Bellini «era troppo musicista per seguire i principi compositivi illustrati in quella “lettera”». Ora, se nza voler contrastare siffatta opinione, secondo il parere dello scrivente tale punto di vista non tiene conto del fatto che il maestro non poteva esprimersi come avrebbe fatto se avesse dialogato con un altro musicista, o con altra persona esperta della materia; ebbe invece motivo di temere che il suo interlocutore, che non s'intendeva di composizione, di note e di partiture musicali, potesse incontrare difficoltà nel comprenderlo. Né è corretto adombrare sospetti di contraffazione, facendo osservare che il celebre operista nello svolgere il suo lavoro non seguiva il rigido procedimento in essa indicato, e talora ricorreva ad altri espedienti come quello di frugare in un personale repertorio di frasi e di melodie preconfezionate oppure di riprendere motivi presenti in qualche precedente spartito. È fatto irrilevante che si servisse anche di criteri diversi da quelli comunicati a Gallo, e del tutto insufficiente per invalidare la sostanza e l'autenticità del testo divulgato, che trova analogie e riscontri in varie pubblicazioni del passato, soprattutto ottocentesche, che non è qui possibile riportare. Si fa eccezione per un frammento molto significativo, tolto da «L'Armonia» - Giornale di Firenze, n. 69 - giugno 1857, e così formulato: «dobbiamo rettificare un'opinione carezzata da molti, cioè che Bellini trovasse le sue melodie senza fatica, senza studio, e sorgessero invece spontanee nel suo cervello. Tutt'al contrario; nessuno ha mai penato più che il Bellini nel creare le sue incantevoli melodie. Egli sta talvolta de' giorni, e perfino delle settimane intere prima d'aver trovato un pensiero, o trovatene il principio, per seguitarlo nel modo più naturale ed acconcio. Rammentano i suoi amici ancor viventi, che spesso lo trovavano nella sua camera, dinanzi ad uno specchio, col libretto in mano, a declamare con gran pazienza per afferrare l'idea musicale, che meglio si fosse adattata a quella poetica». Questa testimonianza, come si vede, è in completo accordo con lo scritto che il bravo saggista palermitano, a cui si deve molta riconoscenza, ha avuto l'accortezza di registrare e di tramandare ai posteri.

Carmelo Neri

25/2/2015

 

Pubblicato sulla Rivista bimestrale Il Piccolo storico letterario di Catania – Anno 4 – n. 16 – Gennaio/Febbraio 2015, pp. 36-8.