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Musica e Mito

Szymanowski e la leggenda di Aretusa

Molti sono stati gli artisti che, in visita a Siracusa, fra le tante meraviglie storiche offerte dalla città, sono rimasti particolarmente attratti dal fascino suggestivo della Fonte Aretusa. Vuoi per la singolarità della fonte d'acqua dolce sotterranea separata dal mare da una cinta muraria, vuoi per la bellezza del sito in cui si trova, vuoi per l'antica leggenda che ne descrive l'origine o per essere l'unico papireto naturale d'Europa, fatto sta che essa stuzzicò l'ispirazione di poeti e letterati di ogni epoca, da Pindaro a Mosco, da Ovidio a Virgilio e D'Annunzio, nonché citata dagli storici Timeo, Pausania, Diodoro Siculo, Strabone, Cicerone e persino John Milton e Alexander Pope. Anche la musica non è rimasta insensibile al fenomeno. Successe così che un compositore polacco attivo all'inizio del secolo scorso, con un retaggio culturale molto lontano dal nostro, si trovasse in vacanza a Siracusa e, nel visitare la fonte, la sua fantasia ne fu talmente stimolata da dedicarle un brano musicale intitolato, appunto, La Fontana d'Aretusa.

Il compositore in questione è Karol Szymanowski (1882-1937), nome sconosciuto ai più, anche in ambito accademico. Eppure, si tratta del più importante compositore della storia polacca dopo Chopin, il principale artefice della nascita della scuola musicale nazionale polacca nel ventesimo secolo. L'attività artistica del Nostro viene generalmente schematizzata in tre grandi periodi creativi. La Fontana d'Aretusa rientra nel secondo periodo creativo (1914-1919), quello dei viaggi in Italia e nei paesi Arabi ed è dominato da due filoni artistici: l'oriente esotico e il mito dionisiaco. Si tratta del primo di un ciclo di tre brani intitolato Miti, Tre Poemi op.30 per violino e pianoforte, ispirati a tre diverse leggende dell'antichità classica. Szymanowski visitò Siracusa nel maggio 1911. Il pezzo fu scritto nella primavera del 1915, grazie anche all'amicizia che lo legò al violinista polacco Paul Kochanski, insieme al quale elaborò un modo affatto nuovo e originale di fondere i due strumenti al fine di ottenere colori timbrici del tutto inediti. La novità stilistica consiste nel nuovo trattamento riservato alla tessitura, i colori generati dalla nuova strumentazione ed un'estetica sensualistica del suono. Questa nuova concezione timbrica, fatta di evocazioni, sussurri e arabeschi sinuosi, lo avvicinano a Debussy e Ravel, cosa che ha portato a definire la sua musica del periodo di mezzo genericamente come impressionista, mentre è frutto della consapevole e ricercata maturazione di un linguaggio compositivo molto personale. La musica del brano rappresenta il fenomeno sonoro proposto dal titolo. Pur non avendo un intento programmatico preciso, Szymanowski riesce qui ad evocare il mito illustrandolo in modo fiabesco, creando sonorità illusionistiche e incantatorie.

La vicenda di Aretusa e Alfeo è piuttosto nota ai siracusani: La ninfa Aretusa, per sfuggire alla corte del dio del fiume Alfeo, chiede e ottiene l'aiuto della dea Artemide, la quale la tramuta in fonte sotterranea trasportandone le acque in Ortigia. Ma Alfeo la trova e al fine si ricongiunge con essa. La dimensione mitica del racconto viene evocata sin dall'inizio del brano, in cui il pianoforte con dei tremoli insistiti dal cui basso emerge una lieve linea melodica, ci catapulta subito in una dimensione di antica leggenda mistica. Esso rappresenta il gorgoglio della fonte e l'impetuosità del fiume Alfeo atto a lusingare Aretusa. Dopo questa introduzione attacca il violino, che intona un canto dal lirismo intenso, intriso di una passionalità lacerante e sofferta; è il canto di Aretusa, che si lamenta per la sua sorte e chiede l'intervento di Artemide. Szymanowski costruisce la linea melodica del violino in un registro molto acuto, ottenendo sonorità fantasmagoriche nei suoi picchi più alti. Una linea sinuosa, quasi un arabesco che procede verso l'alto per poi ripiegarsi su se stesso, basata su cromatismi che ne accrescono la struggente espressività. Segue una sezione di sviluppo tematico, che nel racconto corrisponde alla trasformazione di Aretusa da ninfa a fonte d'acqua dolce. Si tratta di un episodio molto convulso, concitato, in cui pianoforte e violino dialogano in stretta simbiosi, intrecciandosi, su cui, però, domina sempre il canto straziato del violino (ricco di dissonanze) che ricrea un lirismo sfrenato e incandescente di matrice slava, che si placherà solo a trasformazione compiuta. Tecnicamente, il pianoforte presenta una scrittura caratterizzata da tremoli e arpeggi che investono la tastiera per tutta la sua estensione, con brevissimi frammenti melodici che nella maggior parte dei casi fanno da eco o risposta al violino che, dal suo canto, ottiene questi effetti illusionistici grazie a trilli singoli e doppi, tremoli glissati e quarti di tono, utilizzando un'area tonale molto allargata, con risoluzioni e legami fra gli accordi al di fuori degli schemi consolidati. Dopo lo sviluppo, il violino intona sommessamente il canto di quattro note ripetute che emergevano dal basso del pianoforte all'inizio del brano. È questo un momento fondamentale nell'economia della composizione, poiché rappresenta l'avvenuta metamorfosi della ninfa in fonte. Ma prima di chiudere, con questo tema di quattro note, Aretusa ha modo di intonare per l'ultima volta il canto iniziale, di quando era ancora ninfa. Questa volta, però, intonato due ottave più basse, quasi a sottolineare che il canto ora proviene dal basso, dal livello dell'acqua, anzi, emerge dall'acqua stessa quale pallido ricordo della sua forma antropomorfa. La chiusa ha un qualcosa di spettrale, con i due strumenti che intonano lo stesso tema “acquatico” per poi spegnersi lentamente nelle profondità degli abissi, con quelle due ottave finali di quarta discendente, mormorate dal pianoforte, a suggellare la conquista di Alfeo ed il tragico destino di Aretusa.

Benedetto Ciranna

14/7/2014