RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Cambio di programma! Anzi, di interpreti...

Le aspettative erano alte: Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN), auditorium Arturo Toscanini di Torino; direttore: Yuri Temirkanov; pianista: Yuja Wang; programma: il Concerto per pianoforte e orchestra n°3 in re minore Op.30 di Sergej Rachmaninov, il famoso Rach-3, e la Sinfonia n°4 in fa minore Op.36 di Pëtr Il'ic Cajkovskij. Per il quindicesimo appuntamento della stagione dell'OSN, però, il 21 e 22 marzo 2018, un'improvvisa indisposizione ha costretto il maestro Temirkanov a dare forfait, e Yuja Wang con lui. È toccato quindi trovare una coppia di sostituti; ma, lungi dall'essere un semplice rimpiazzo, il trentenne uzbeco Aziz Shokhakimov, secondo classificato al concorso internazionale per direttori d'orchestra Gustav Mahler nel 2010, ha saputo nel complesso far prendere quota alla serata, coadiuvato da Seong-Jin Cho, pianista coreano classe 1994 al suo debutto con l'OSN.

La Quarta di Cajkovskij, composta tra il dicembre 1876 e gennaio 1878, si situa negli anni in cui Brahms dà alla luce la sua Seconda e Bruckner si dibatte tra le stesure e le revisioni della sua Terza e Quarta. Un periodo travagliato per Cajkovskij, invece, che, non potendo rivelare pubblicamente la sua omosessualità, nel 1877 deve ripiegare su un matrimonio di facciata con una sua allieva, Antonina Ivanovna Miljukova. Risultato: dopo tre settimane abbandona il tetto coniugale per rifugiarsi nella tenuta di Kamenka e, dopo pochi mesi, tenta il suicidio per annegamento, fortunatamente per lui (e per noi…) fallito. La sua musica suscita però l'ammirazione incondizionata della baronessa Nadeža von Meck, che decide di elargirgli un vitalizio a patto che continui a produrre musica sublime. Il minimo che potesse fare Cajkovskij è dedicarle la Quarta Sinfonia, in cui riversa tutta la disperazione di quel fosco periodo, una “sinfonia del destino” che paragonabile alla Quinta di Beethoven: la lotta dell'uomo contro il fato che “bussa alla porta”. L'esito della battaglia, però, se in Beethoven è assertivamente positivo, con quel finale che ribalta la situazione di partenza, in Cajkovskij è controverso: pur giungendo comunque ad un finale positivo, alle spalle della vittoria incombe l'ombra del destino: la fanfara che apre la sinfonia, e che simboleggia il fato, ricompare infatti a tradimento in mezzo all'ultimo movimento e ne aduggia la conclusione. Ma nell'arco della sinfonia c'è spazio per un caleidoscopio di emozioni, dallo sconforto al pianto (primo movimento), alla malinconia (secondo), allo scherzo, al gioco (terzo), alla gioia, quella vera e quella finta, quella sussurrata e quella gridata (quarto)… Tutto sta a sapercele vedere; anzi, sentire.

Un salto in avanti di circa trent'anni ci porta al Terzo di Rachmaninov, autore tardo-romantico post litteram che poco o punto si occupava di seguire le correnti avanguardiste: il Rach-3 è la prova di quanto le sue estreme capacità virtuosistiche coesistessero con la tendenza a comporre “col cuore in mano”, senza il filtro raffreddante di lambiccate tecniche compositive – i complicati Cinque pezzi per orchestra Op.16 di Schönberg e i Sei pezzi per orchestra Op.6 di Berg, per esempio, sono anch'essi del 1909 come il Rach-3, che venne presentato per la prima volta a New York il 28 novembre dello stesso anno con Walter Damrosch sul podio e reso ancor più celebre al grande pubblico da Shine, pellicola del 1996 secondo la quale la sua esecuzione sarebbe costata al pianista David Helfgott la sanità mentale, data la sua impressionante difficoltà.

Non so dire se Seong-Jin Cho avesse il Rach-3 in repertorio o se lo abbia preparato per l'occasione: di certo è che la sera del 22 marzo ha dato prova di una notevole sicurezza, data l'età e l'impegno anche fisico di questo brano, caratterizzato, più che dalle pur molteplici difficoltà oggettive, dalla quasi continua presenza del pianoforte lungo i quaranta minuti della sua durata. L'apice è stato toccato nel momento della cosiddetta “cadenza Ossia”, una cadenza alternativa, scritta da Rachmaninov e, sebbene incredibile, ancora più difficile di quella originale, caratterizzata da pesanti accordi a due mani in regioni distanti della tastiera. E, se può essere valida in taluni casi la critica mossa alle ultime generazioni di pianisti orientali, tutta tecnica e niente sentimento (vedi Lang Lang), questo non è il caso di Seong-Jin Cho, che riesce a lasciare una sua impronta personale, per quanto, per ora, non così profonda; la sua esecuzione si accoda infatti sulla scia di altri pianisti di livello alto, ma non eccelso, elevandosi l'eccelso a Vladimir Horowitz, del quale, diceva Rachmaninov in persona, sapeva eseguire il suo concerto meglio di lui…

A suo discapito è andata una non fruttuosa unità di intenti con Shokhakimov. Sovente, durante l'esecuzione, l'orchestra sommergeva il pianista con cascate di suono che avrebbero dovuto farlo emergere un po' di più, o quanto meno rendere paritario il rapporto. È chiaro che ottanta-cento elementi di un'orchestra possono avere facilmente la meglio sullo strumento singolo, se non adeguatamente raffrenati: e questo freno non è stato a volte quasi per nulla applicato, col risultato di vedere, ma non udire, il povero Seong-Jin Cho combattere con la tastiera, vanificando la sua cura per le dinamiche, impossibili le più volte da valutare ma che, per quanto è stato possibile sentire, sono state all'altezza delle aspettative. Si avvertiva che tale squilibrio non fosse voluto, come in altri casi in cui è d'uopo bilanciare le sonorità per caratterizzare la componente di compenetrazione delle due parti, come nei Concerti di Mozart o Beethoven. Come in un sistema di stelle binario, in cui due stelle, ruotando una attorno all'altra, passano a un certo punto contemporaneamente davanti al telescopio, divenendo indistinguibili, così i due interpreti, a seconda dei pieni e dei vuoti orchestrali, confondevano reciprocamente le loro “voci”, dando l'impressione di un tutto poco organizzato, non messo a fuoco.

Il successo di pubblico non è però mancato, a giudicare dagli applausi. Da buon vincitore del Concorso Chopin nel 2015, Seong-Jin Cho si è poi esibito in un encore squisitamente chopiniano, il Preludio n°17 in la bemolle maggiore Op.28.

Impressione migliore quella ricevuta dalla Quarta nella seconda parte del concerto. Disponendo di un'orchestra come sempre smagliante, in grado di sfoggiare sonorità compatte, pulite, Shokhakimov ha potuto concentrarsi sul contrasto dinamico delle varie sezioni, per quanto un occhio in più alle raffinatezze delle ornamentazioni dei fiati, quasi putti alati svolazzanti attorno alla linea melodica principale, e mi riferisco soprattutto al primo movimento, non sarebbe guastato. Buona prova per quanto riguarda il secondo e il terzo, costruito sugli agili pizzicati di tutti gli archi, mentre torna a farsi sentire quell'impressione di con-fusione delle linee melodiche e dei piani sonori nel quarto – impressione fortunatamente fugace, che non impedisce a Shokhakimov di concludere brillantemente sinfonia e serata.

Christian Speranza

3/4/2018