RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Una grande serata di balletto alla Scala

Non avevo avuto finora l'opportunità di assistere a uno spettacolo del giustamente celebre corpo di ballo del Teatro oggi guidato da Frédéric Olivieri. Nel presente caso si trattava di pezzi indipendenti, brevi, cinque, per rendere omaggio a due famosi coreografi del secolo scorso come Petit e Van Manen – quest'ultimo in qualche modo arriva ai primi anni del presente secolo. Il vantaggio o, a seconda di come si pensi, inconveniente di non avere anche l'orchestra per il tipo di programma scelto è che si poteva contare sulla esperienza di maestri affidati della stessa Scala, in primis James Vaughan al pianoforte che portava il peso massimo sulle sue spalle, e poi, puntualmente, Alfredo Persichilli , violencello, nella Élégie op. 24 di Fauré per il primo pas de deux di Petit Le combat des anges, estratto del lungo e discusso ballet Proust, di cui è stato sempre considerato il momento più riuscito, e a fine spettacolo, l'intervento di Lorenzo Bonoldi all'organo per l'esecuzione della Passacaglia in do minore BWV 582 di J.S.Bach durante il momento più atteso, Le Jeunne homme et la Mort.

Anche se i principi estetici e le scelte di Hans Van Manen e di Roland Petit sono chiaramanente opposti si complementano bene almeno in questo caso. Più progressista il primo, sempre con la tendenza a mostrare in forma pura e stilizzata e una grande propensione per l'astrazione nei rapporti – in generale di coppia, ma anche nel mondo professionale e artistico, come si vede nel lavoro forse più originale e affascinante, Sarcasmen, sul titolo omonimo op.17 di Prokof'ev – più tradizionale il secondo (ma al suo tempo pure originale) e particolarmente fortunato nei suoi celebri pas de deux – come dimenticare la sua meravigliosa rose malade su musica di Mahler, quando veniva interpretata dalla prima protagonista, l'ineguagliabile Maia Plisetskaia, che faceva subito diventare il più accanito critico del balletto in un fedelissimo converso? – dove pure si parla dei rapporti interpersonali, ma molto più concreti: qui i due angeli – il buono e il cattivo, Saint Loup e Morel dalla Recherche proustiana – senza una vera e propria soluzione o se ce n'è, una che finisce con l'integrazione dei contrari; oppure la più tremenda ed evidente del Jeune homme et la Mort, dove la modella che disprezza il pittore innamoratosi di lei diventa la morte che lo conduce al suicidio.

Nei due primi pezzi, i più formalistici se si vuole ma sempre con l'intenzione di ricordare qualcosa che va aldilà dei movimenti in sé dei ballerini, tutti questi erano eccellenti ma forse un po'impersonali, come se fossero dei tipi e non personaggi, e come credo fosse l'effetto che si desiderava ottenere. Così non ha troppo senso parlare di questo o questa migliore di quest'altro. Tre di loro, Francesca Podini, Gabriele Corrado e Gioacchino Starace ritornavano e magari, visto il semplice fatto del suo sempre più completo ‘isolamento' e maggiore ‘protagonismo', credo si debba fare il nome della donna in nero del Kammerballett, Alessandra Vassallo. Le musiche erano, nel primo e come lo stesso nome dice, l'adagio della Hammerklavier di Beethoven, mentre per il Kammerballet risultava coerente e interessante la combinazione strana in principio di mondi contrapposti come sono quelli di Kara Karayev (preludi 1 ,2, 3 e 5 dei suoi 24 Preludi), Domenico Scarlatti (allegro della Sonata K.159, e per finire l'andante della K.87), interrotto questi a sua volta da In a Landscape di John Cage.

Nel pas de deux maschile di Petit brillavano allo stesso livello Claudio Coviello e Marco Agostino che per momenti sembravano un solo corpo con due teste. Coviello poteva ripetere in qualcosa di assolutamente diverso come il narcisista e vanesio primo ballerino di Sarcasmen, dove dava la replica a una davvero monumentale Nicoletta Manni, che aveva qui il suo momento di gloria della serata, più che nell'atteso pezzo finale della serata, il celeberrimo Le jeune homme et la Mort, dove vero è che doveva cedere un po' – più per quantità che per qualità – davanti a quel fenomeno che ha nome Roberto Bolle e che continua giovane, atletico, di fenomenale espressività e con una padronanza tecnica assoluta come nei suoi primi anni – vero è che lo abbiamo visto in un balletto che appena supera i quindici minuti, ma penso che sarebbe lo stesso in un balletto ‘completo' come quelli che ancora ha in repertorio, moderno o classico. Questo balletto, l'essenza dell'esistenzialismo su un argomento di Jean Cocteau, i cui diritti Petit comperava dopo la morte dell'autore, adopera sempre le famose scene di Georges Wakhevitch e i costumi di Karinska del momento della prima, ma quello che più importa è che il suo messaggio o contenuto arrivano oggi come allora.

Le coreografie di Van Manen avevano come assistenti tre signore (Larisa Lezhnina per Adagio Hammerklavier, Nancy Euverink per Kammerballett, e Rachel Beaujean per Sarcasmen), mentre i due balletti di Petit venivano ripresi, come sempre, da Luigi Bonino, anni fa rilevante interprete alla stessa Scala. Il teatro era strapieno e applaudiva con intensità, arrivando a ovazioni giubilatorie per la Manni e, ancora di più se possibile, per Bolle.

Jorge Binaghi

9/2/2020

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.