RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Il Barbiere di Siviglia

al Castello Carrarese di Padova

Come di consueto ad agosto c'è il classico appuntamento con l'opera al Castello Carrarese della città patavina, una specie di anteprima della stagione lirica successiva. Considerato l'anniversario del 150° della morte di Gioachino Rossini il titolo ideale per una rappresentazione all'aperto e popolare non poteva che essere Il Barbiere di Siviglia. La prassi esecutiva estiva all'aperto, in piazze o altri luoghi peculiari, è vecchia e consolidata, e anche se è sempre preferibile lo spazio chiuso, talvolta non dispiace una serata “diversa”. Tuttavia è da domandarsi come mai uno spazio cosi grande come il cortile interno del Castello non sia stato negli anni attrezzato con maggior funzionalità per spettacoli dal vivo, e non solo l'opera.

Le attese per questo Barbiere, che in seguito sarà rappresentato anche a Bassano del Grappa, erano molte per la presenza di un cast “giovane” ma di buone qualità e di un regista che potrebbe in un prossimo futuro trovare occasioni davvero indicative.

Invece al termine eravamo un po' sconfortati per la scarsa riuscita del progetto. Il regista Yamal Das Irmich sviluppa tutta la vicenda sul tema denaro, desiderato in varie forme dai protagonisti dell'opera. Si vorrebbe evidenziare che nessuno fa nulla per niente: Bartolo vuole sposare Rosina per la sua dote, in questo è aiutato da Basilio che fiuta la lauta ricompensa che ne avrà. La stessa che pretende Figaro nell'aiutare l'altro spasimante della giovane, il conte d'Almaviva. Le cose vanno come devono andare, e l'unico che ne profitta veramente è il barbiere, più scaltro e sornione degli altri, in questo caso geniale l'idea di fargli manovrare come marionette i personaggi nel finale atto primo. Ma la drammaturgia è scavata sulle singole fragilità e personalità a scapito del vero intento o comune denominatore che è e resta l'opera buffa. Non aiuta in questo senso la magra e surreale scena di Matteo Paoletti Franzato, il quale colloca da un lato una gigantesca cassaforte, la casa-prigione di Rosina, dall'altra una pedana con sedia da salone di barbiere. All'interno della cassaforte si poteva intravedere un palo da lap dance, del quale non si capisce il motivo, piuttosto dozzinali erano gli striscioni sorretti dal coro durante la serenata di Almaviva. Nel complesso un Barbiere con qualche idea molto azzeccata ma altre non risolte, il temporale visto come incubo di Rosina, ma quello che più appariva era il non divertimento, un Barbiere troppo serioso e poco spassoso. Una visione drammaturgica così elaborata e peculiare avrebbe avuto come ideale location un teatro al chiuso e maggior sostegno scenico, che il Castello non poteva offrire, ma speriamo di ritrovare prossimamente questo giovane regista talentuoso. Senza traccia i costumi moderni dello stesso scenografo.

L'Orchestra di Padova e del Veneto, che sa suonare molto meglio rispetto alla serata, era diretta dal giovane Nicola Simoni, il quale avrebbe dimostrato anche una buona concertazione, seppur molto lenta, e un'attenta calibrazione delle diverse sezioni, ma è stato molto lacunoso nell'accompagnamento dei solisti, lasciati al loro personale intento, cui si aggiunge una narrazione musicale senza brio e teatralità. Sicuramente le prove saranno state risicate ma il giovane maestro pareva piuttosto disorientato dal luogo e probabilmente la poca esperienza ha avuto la meglio. Giustamente niente filologia. Da riascoltare al chiuso. Non fa una gande figura neppure il Coro Lirico Veneto, diretto da Stefano Lovato, che ci aveva lasciato ricordi più lusinghieri in altre occasioni.

Non poche delusioni riserva anche la compagnia di canto a cominciare dal Figaro di Massimo Cavalletti, il quale pur possedendo carisma e teatralità non supera la prova vocalmente per agilità inesistenti e registro acuto artefatto. Più azzeccata la Rosina di Alessia Nadin, musicale e calibrata in un canto preciso e stilizzato, cui si somma un'interpretazione rilevante e un fraseggio ricercato. Pietro Adaini conferma il suo Conte funzionale ma sovente monocorde, con un accento poco variegato e acuti non del tutto timbrati.

Anche Giovanni Romeo, un Bartolo che ricordavamo validissimo in recite precedenti, a Padova non era in giornata positiva, producendosi in un tratto fin troppo sopra le righe e un canto difficoltoso. Gabriele Sagona, Basilio, è cantante diligente e puntuale che assolve i compiti con estrema cura e professionalità ammirevole. Impagabile la Berta di Giovanna Donadini, che di questo ruolo ne ha fatto una caratteristica di grande segno teatrale, mai sopra le righe, e bravura vocale. Interessante il Fiorello di Carlo Checchi, e puntuale l'ufficiale di Romano Franci.

Recita affollatissima di pubblico pre-vacanziero che ha accolto l'intera compagnia artistica con applausi cordiali e di convenienza al termine.

Lukas Franceschini

8/8/2018

Le foto del servizio sono di Giuliano Ghiraldini.