RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Simon Boccanegra alla Scala di Milano

L'ultimo titolo operistico della Stagione 2013/2014 del Teatro alla Scala è stato Simon Boccanegra, ripresa di un allestimento del 2010. Simon Boccanegra era “un tavolo zoppo” come lo definì Verdi. Infatti, dopo l'insuccesso veneziano del 1857, l'opera fu accantonata. Anni dopo fu Giulio Ricordi a sollecitare al compositore di rimettere mano all'opera: Verdi pensava che ci fosse del materiale importante, era da rimaneggiare, ma non era ancora ispirato dal progetto. Fu in seguito alla riappacificazione con Boito che iniziò il lavoro di rifacimento, ma forse sarebbe il caso di affermare “seconda versione”. Come più volte detto è oggi facile capire lo scarso successo veneziano: il pubblico fu disorientato non trovando gli episodi melodici che avevano caratterizzato le opere precedenti (Rigoletto, Trovatore, Traviata) e tali momenti erano inseriti in una drammaticità di struttura e non pezzi a se stanti. Del resto è indicativo il carteggio tra Verdi e Ricordi, nel quale il primo affermava di amare e volere ancora le cabalette, ma aveva capito che il vento stava cambiando e bisognava offrire al pubblico altre novità musicali. In Boccanegra Verdi fu un anticipatore, pubblico e critica capirono meglio il suo linguaggio musicale-drammatico nella seconda versione che è datata 1881, ma il melodramma resta un elevato spartito di prim'ordine. L'opera è liberamente tratta da un fatto storico e dal dramma omonimo di Antonio Garcia Gutierrez (lo stesso del Trovatore). Perno imprescindibile è il protagonista, un marinaro corsaro eletto, con titubanza, al soglio di Doge di Genova, e se nel libretto del Piave questi aspetti sono accentuati veracemente, le aggiunte del Boito in seguito rafforzano la statura e la personalità regale con la scena del consiglio.

Lo spettacolo di Federico Tiezzi, creato in coproduzione con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, è molto classico e non cerca vie d'uscita astruse. Egli ambienta la vicenda nella sua epoca, ed è gran pregio considerato che si parla di corsari, dogi e nobili e popolani del XIV secolo. La vicenda, anomala nella drammaturgia, ha uno scarto di un quarto di secolo tra il Prologo e i tre atti successivi, i quali sono realizzati con dovizia a compartimenti stagni delimitati da un grande quadro che rappresenta il pubblico e il privato. L'insieme cupo e teatrale è reso dalle luci efficaci e rifinite di Marco Filibeck. Il regista pone l'accento nelle quattro parti del dramma, e sono soprattutto le ultime due a rendere drammaturgicamente “vero” il personaggio di Simone colpito negli aspetti più intimi. L'opera si chiude con una grande cornice che cala dall'alto, un fatto storico si conclude con la morte del doge, nuove speranze senza lotte tra famiglie saranno il futuro. Significativa la caratterizzazione effettuata sulla recitazione, vertici di questa produzione i due duetti Boccanegra-Fiesco nel prologo e ultimo atto. Monumentali ed efficaci le scene di Pier Paolo Bisleri, costumi bellissimi e preziosi di Giovanna Buzzi.

Questa produzione segna il penultimo titolo di Daniel Barenboim alla Scala in qualità di direttore musicale. Non assistetti alle recite del 2010, tuttavia esprimo che questo è il suo miglior Verdi a Milano. Barenboim ha narrato e cesellato l'opera senza perdersi in marginali fuoriuscite, ha tenuto ben salda la difficile e ammaliante struttura narrativa drammatica. I tempi sono ben scanditi, cura di ogni dettaglio, incisività, che hanno reso una lettura talvolta molto “sinfonica” ma di sicuro impatto emotivo. Questo è stato possibile anche perché il direttore aveva a disposizione un'orchestra in ottima forma e sempre pronta a seguirlo in tutte le sue intenzioni e un Coro, diretto da Bruno Casoni, che ha fornito prova, ancora una volta, di eccelsa qualità.

Tatiana Serjan era una valida Amelia, che seguiva una lettura musicale con ottima professionalità e una resa drammatica efficace. Il registro acuto talvolta forzato è frutto di un repertorio più pesante solitamente frequentato. Bravo Fabio Sartori nel ruolo di Adorno, valido e preciso tenore, mai in difficoltà e puntuale in tutti i sui momenti; in quest'occasione ho percepito anche un fraseggio più raffinato rispetto ad altre esibizioni. Imponente vocalmente il Fiesco di Orlin Anastassov, truce ed austero ma di ottime risorse che qualche tempo addietro parevano appannate. Straordinario il Paolo di Artur Rucinski del quale non si sa se apprezzare più il canto o la recitazione, una performance esemplare!

Infine Placido Domingo, del quale in più occasioni mi sono espresso su questa “nuova” carriera baritonale. Non proseguirò infierendo che oggi risultati artistici musicali non esistono per ovvie ragioni sia anagrafiche sia fisiche. Resta tuttavia una straordinaria identificazione teatrale del personaggio nella sua imponente e complessa struttura e qui il cantante ha dato il meglio di sè. Al pubblico è bastato solo questo considerate le ovazioni finali.

I personaggi minori erano interpretati con ottima professionalità da Ernesto Pannariello, Luigi Albani e Barbara Lavarian.

Durante l'esecuzione pochi applausi, l'opera non è delle più facili, salvo un convinto assenso al tenore al termine dell'aria, alla fine invece successo caloroso a tutta la compagnia con particolari ovazioni per Domingo e Barenboim.

Lukas Franceschini

28/11/2014

Le foto del sevizio sono di Brescia&Amisano - Teatro alla Scala.