RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Al secondo la Seconda

il secondo dei «Concerti d'autunno» con la Seconda di Beethoven

 

Non sembra vero tornare, dopo otto mesi, ad ascoltare musica dal vivo. Il lungo periodo di forzata sospensione di opere e concerti non ha certo piegato la volontà di tornare a fruirne; l'hanno provata, sì, ma questo non ha fatto altro che acuire l'intensità del desiderio. E, sebbene l'attività musicale stia ricominciando in tutta Italia in modo sempre più capillare, personalmente non mi era più capitato dall'inizio della reclusione di assistere a un evento dal vivo. Eccomi quindi a riferire del mio primo concerto dopo il lockdown. Primo per me e secondo dei nove previsti «Concerti d'autunno», una rassegna di appuntamenti settimanali, tutti i giovedì per tre mesi, che l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI (OSN) eseguirà nella sua sede abituale, l'auditorium Arturo Toscanini di Torino. Direttori del calibro di Daniele Gatti, Michele Mariotti, Fabio Luisi e altri, e solisti come Beatrice Rana, impegnata nel Terzo di Beethoven, daranno vita ancora una volta a pagine di Mozart, Mendelssohn, Schumann, Bruckner, Wagner, Mahler, Strauss e Šostakovic. A ciò si aggiungono anche due concerti per celebrare i cento anni della nascita di Federico Fellini – con l'esecuzione delle colonne sonore de LA STRADA e di PROVA D'ORCHESTRA di Nino Rota – e uno per il centenario di quella di Bruno Maderna.

È strano tornare al Toscanini dopo tanti mesi. Poca gente, quella permessa dalla capienza massima di duecento persone, secondo disposizioni, a due poltrone una dall'altra. Tutti in mascherina, accompagnati dalle maschere (calembour spiritoso, se non alludesse a una situazione così spiacevole), il palco ingrandito per permettere il distanziamento degli orchestrali (rimosse le prime cinque file in platea), direttore e professori d'orchestra, che entrano con la mascherina e la tengono indosso quel che basta a raggiungere chi il podio, chi il leggio, per poi poggiarla di lato. L'utilità rimane dubbia, la protezione discutibile.

Il programma del secondo «Concerto d'autunno», giovedì 24 settembre 2020, sembra volersi riallacciare da un lato all'anno beethoveniano, con la Sinfonia n°2 in re maggiore Op.36 del maestro di Bonn, scritta fra il 1800 e il 1802, a ridosso di quella fase di presa di coscienza del venir meno dell'udito, culminata nel famoso “testamento di Heiligenstadt” (una lettera mai spedita ai fratelli, ritrovata fra le sue carte dopo la sua morte), dall'altro alla quarantaseiesima edizione del Festival della Valle d'Itria, che quest'anno ha portato sulle scene l'Arianna a Nasso e Il borghese gentiluomo di Richard Strauss (la cui traduzione in italiano, nell'epoca dei sovratitoli, resta un antifilologico e inutile tocco rétro). Del dittico originale, l'OSN esegue la suite da Der Bürger als Edelmann Op.60 approntata nel 1919 dall'autore stesso. L'idea partì da Hugo von Hofmannstahl, che propose a Strauss di rielaborare Le bourgeois gentilhomme di Molière, sostituendo le musiche di Lully con pagine nuove. Nella rielaborazione di Strauss, a conclusione della comédie-ballet, dove è previsto l'intervento di musica, canto e intermezzi danzati a movimentare la recitazione, Monsieur Jourdain offre ai suoi ospiti, aristocratici a differenza sua, un'opera nel gusto antico (ecco l'aggiunta di Hofmannstahl all'originale di Molière): l'Ariadne auf Naxos. Ma il pubblico, non convinto dal connubio tra opera e commedia, accolse freddamente l'esperimento: era il 25 ottobre 1912. Così Strauss decise in seguito di separare l'Ariadne, facendone l'opera che oggi conosciamo, e di riutilizzare le musiche del Bürger nella suite di cui sopra.

A dirigere il concerto, il maestro Ion Marin, che debutta con l'OSN. Il blasonato direttore rumeno presenta una Seconda di Beethoven nel complesso valida e brillante. L'introduzione lenta al primo movimento è resa invero piuttosto scorrevolmente, con un tempo che non sa di Adagio ma almeno di Andante. Il successivo Allegro, per contro, pare fare a meno del previsto con brio; uno squilibrio di dinamiche tenuto insieme però da una conduzione ferma e decisa, tesa e vitale, che innerva anche il vorticoso Allegro molto conclusivo. Preziose le sottolineature di Marin nei passaggi in contrappunto degli archi, ove è possibile seguire il richiamarsi dei temi senza difficoltà. Più tradizionale la direzione dei due tempi intermedi, il Larghetto, anche qui sostenuto e veloce forse più del dovuto ma trasparente nella nettezza delle sezioni d'orchestra, e lo Scherzo, che si allinea a dinamiche ed espressività dei due numi tutelari di Marin, sotto la cui guida si è formato, von Karajan e Kleiber, due beethoveniani d'eccezione.

Il concerto prosegue senza intervallo, per ragioni di sicurezza. Caso più unico che raro, l'orchestra, anziché ingrandirsi per il pezzo finale d'insieme, si riduce, l'organico diventa pressoché cameristico: i classici legni “a due”; gli ottoni si limitano a due corni, una tromba e un trombone basso; arpa e pianoforte connotano il timbro novecentesco di alcuni numeri della suite, con un occhio al Seicento (e tanto di temi apertamente di Lully) e l'altro alla sonorità contemporanea a Strauss (il cui lavoro di fino nel comporre questo pastiche tematico e timbrico lascia increduli); di contorno, una nutrita schiera di percussioni, usata invero con parsimonia. Gli archi, poi si riducono a tredici (su disposizione evidentemente di Marin, che assottiglia vieppiù i sedici previsti da Strauss) in memoria degli organici dei tempi di Molière/Lully. Tale accortezza permette di accordare il giusto risalto alle parti soliste, prima fra tutte quella di Roberto Ranfaldi, primo violino (il sarto di Monsieur Jourdain), di Marco Braito, prima tromba (il maestro di scherma) e di Antonello Mazzucco, trombone (Monsieur Jourdain in persona, imitato nella sua goffaggine dallo strumento grave alla stregua dell'elefante di Saint-Saëns e della sua resa contrabbassistica), che si disimpegnano nei rispettivi assoli con la classe e la qualità che contraddistingue l'OSN tanto negli ensemble , quanto negli interventi solistici.

Marin opta per una lettura leggera, solare, non disdegnando una certa gagliardia come nell'Entrata a danza dei sarti e nella Courante, e chiude con un'ilare scoppiettio sulle battute finali, secondando lo spirito burlesco e satirico dell'ispirazione molieriana e la relaitva veste strumentale di Strauss.

Al termine del concerto, su un applauso necessariamente poco vivace visto il pubblico ristretto (una sottaciuta tristezza ha fatto capolino tra i clap-clap… ), Marin ha scambiato il saluto rituale di questi tempi, pugno contro pugno, nocche contro nocche, con pressoché tutti i professori d'orchestra, partendo dagli archi per raggiungere le ultime file delle percussioni. Quando tra gli orchestrali è stato chiaro che sarebbe passato da tutti, il sorriso ha iniziato a diffondersi e a contagiare tutti, pubblico compreso. È questo l'unico contagio che fa piacere.

Christian Speranza

27/9/2020