RECENSIONI
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Barcellona

Un barocco poco noto

Non è che si senta spesso un titolo di Hasse. È vero che non è un altro Haendel, ma ha delle cose molto interessanti e tra l'altro fa vedere l'evoluzione verso il classicismo, con arie un po' più brevi e con tante agilità ma meno spericolate in confronto ad altri autori. L'Auditori di Barcellona ha presentato in forma di concerto una serenata del 1725, Marc'Antonio e Cleopatra, un lavoro tra i primi, frutto dei suoi studi con Porpora e Alessandro Scarlatti, di cui è stato ultimo discepolo. Questo tipo di composizione era sempre per un evento d'importanza, e in questo caso commissionata dal consigliere reale Carlo Carmignano ed eseguita nella sua residenza di campagna nientemeno che da un Farinelli diciannovenne (Cleopatra) e dal celebre contralto Vittoria Tesi (Marc'Antonio). Non c'è azione drammatica di nessun tipo ma una serie di affetti dopo la sconfitta della celebre coppia ad Azio su un libretto di Francesco Ricciardi. I primi due numeri sono strumentali (sinfonia) e gli altri sono recitativi (per la maggior parte secchi) e quattro arie (due per ogni interprete) con un duetto finale. La struttura, senza la sinfonia iniziale, è identica per la seconda parte, mentre il finale è la tipica e oggi alquanto imbarazzante lode al mecenate e la sua musa. Con una durata di un'ora e quarto si lascia sentire con moderato piacere, e qualche volta la si potrebbe scambiare per una di Scarlatti, appunto.

Mentre il ruolo di Marc'Antonio è sempre lirico, mesto o malinconico, Cleopatra ha senz'altro i momenti più interessanti perchè esprime emozioni contrastanti, e quindi il canto è più elaborato e anche i recitativi più espressivi.

La versione dell'Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone è stata ottima per quanto riguarda la parte orchestrale. Le due soliste erano Delphine Galou (Marc'Antonio) e Sophie Rennert (Cleopatra). La prima viene definita “contralto” e non lo è... L'emissione presenta infatti un grave privo di forza, assolutamente indietro e un volume discreto con una padronanza buona dello stile. La Rennert si presenta come mezzosoprano, ma nei recitativi pare un soprano e in qualche aria pure; solo a volte, e nel registro centrale in particolare, si sente una voce più scura. Canta molto bene anche se alcune delle agilità e dei trilli sono più abbozzati che eseguiti chiaramente; ottima la fonazione e anche lei padrona dello stile e di grande competenza tecnica, a parte le riserve indicate.

Come al solito hanno cercato di dare un contenuto teatrale ai loro interventi con gesti e sguardi, ma io ritengo che se in una versione di concerto di un'opera può essere interessante, in un titolo privo di azione drammatica (e in fondo di sostanza) risulti fondamentalmente sbagliato. Sarà forse una concessione ai bisogni del pubblico che sembra sempre meno disposto a sentire se non “vede”. La sala non era piena ma l'esito è stato felice con applausi che hanno ottenuto la ripetizione del duetto della prima parte – per fortuna. Chiaramente migliore e più ispirato.

Jorge Binaghi

14/11/2018