RECENSIONI
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Barcellona

Il ritorno di Beczala

Piotr Beczala (accompagnato molto correttamente al pianoforte da Sarah Tysman) si è presentato ancora una volta al Palau de la Música con un programma praticamente identico a quello dell'ultima volta tre anni orsono. La spiegazione fa riferimento alla difficoltà di far le prove. La cosa non sembra aver scomodato nessuno, ma è un peccato che un artista di questo livello non ci abbia dato nuovi esempi della su arte. Peggio: i suoi tantissimi fans, che l'amano e non posso dare loro torto, parevano ‘risvegliarsi' (anche loro ripetevano il comportamento di quell'ultima volta…) solo davanti ai numeri operistici (questi sì diversi dagli anteriori), ma per commentare ad alta voce che finalmente ci siamo! … Come se in un programma tutto italiano, che oggi pochissimi cantanti osano presentare al pubblico, i nomi di Respighi, Donaudy, Wolf-Ferrari e Tosti fossero poca cosa – solo L'ultima canzone dell'ultimo menzionato otteneva un successo simile a quello delle arie visto appunto il suo carattere operistico ma soprattutto, e temo che la causa fossero i tanti acuti, che non è certo l'unico elemento da valutare nel grande tenore polacco. L'applauso scattò perfino dopo la prima strofe di Di tu se fedele da Un ballo in maschera di Verdi, e, oimè, non per impazienza ma per ignoranza. In questo senso le cose miglioravano con la grande aria dalla Luisa Miller: entrambe le opere e le arie le ha cantate tante volte, esattamente come il primo assolo di Cavaradossi nella Tosca – l'opera non l'ha mai cantata qui, ma sì i due momenti per il tenore. La seconda romanza del pittore era il primo dei ‘bis', seguita da una di quelle canzoni dove Puccini ricicla o prova i suoi più grandi ‘tubes', nella fattispecie il duo dei protagonisti dal terzo atto de La Bohème, diventato assolo per tenore e, mi pare, la sola novità in programma. Finiva con l'aria dell'ultimo atto dall' Andrea Chénier, titolo ancora non affrontato nell'integrità, ma dai cui due grandi duetti e di quest'aria stessa ci ha lasciato ricordi memorabili lo scorso settembre al Liceu. La critica dunque sarà praticamente la stessa di allora, visto che per fortuna, a parte un centro più consistente e l'articolazione perfetta del testo, non ci sono stati cambiamenti apprezzabili – vero è che comunicava più e più fluidamente con il pubblico, più sciolto, in inglese ma a bassa voce, per presentare i diversi numeri visto che il programma di sala poteva venire scaricato solo da Internet.

«Nella sua carriera il canto da camera è qualcosa di ‘recente' che si è sviluppata negli ultimi dieci anni, forse meno. Ma non ho visto da tempo nessuno che avesse l'ardire di fare tutto un programma con delle canzoni italiane (alcune molto note, altre meno) trattate con il dovuto rispetto e non per fare un'esibizione di acuti (che c'erano eccome). Al più noto Donaudy seguivano delle perle di Wolff-Ferrari e alcune delle canzoni più celebri, ma non tutte, di Respighi, per finire con tre ‘tubes' di Tosti. Articolazione chiarissima del testo ma partitura alla vista: questo fatto toglieva un po' di spontaneità e anche qualche piano non era a fuoco o veniva emesso con un certo sforzo.»

Delle arie va notato sololo splendido e difficile salto al grave nell'aria di Riccardo, l'ardore di Cavaradossi e Chénier, e il grande fraseggio e il ‘porgere' di Rodolfo.

Jorge Binaghi

20/5/2021