RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Gianluigi Gelmetti

inaugura la Stagione Sinfonica 2016/2017 del Bellini di Catania

La sinfonia n. 1 in Re Maggiore di Gustav Mahler, composta fra il 1885 ed il 1888, si ispirava al romanzo Il Titano dello scrittore tedesco Jean Paul, si articolava inizialmente in cinque movimenti e da un punto di vista stilistico si proponeva come musica a programma, musica cioè finalizzata alla descrizione di eventi esterni cui la stessa musica vuole fare riferimento. Essa infatti, nelle originarie intenzioni dell'autore intendeva narrare il viaggio esteriore ed interiore del protagonista, prototipo dell'eroe romantico (anche se meno prode, meno appassionato e senza dubbio più moderno, attardato, autoironico e autocritico di quello teorizzato dallo Sturm und Drang). Così almeno venne presentata nella sua prima esecuzione avvenuta a Budapest il 21 novembre 1889, vale a dire come Symphonische Dichtung in zwei Teilen (Poema Sinfonico in due parti): i primi tre accorpati nella prima parte ed il quarto ed il quinto pensati come parte seconda.

Ma nelle successive esecuzioni e soprattutto nella edizioni a stampa della partitura, l'autore soppresse il secondo movimento intitolato Blumine, di fatto un delicato e penetrante Lied in forma tripartita, che segue lo schema di un'arietta in tre sezioni, riducendo così la sinfonia alle quattro parti consuete con le quali viene presentata al pubblico: Adagio, Vivace, Scherzo moderato, Agitato. In seguito il compositore boemo volle anche attenuarne l'intento precipuamente programmatico, sfumando l'intera composizione verso aspetti e prospettive più asemantiche, meno icasticamente definite e definitore, comunque più vaghe. Ci pare infine doveroso ricordare, quantomeno per gli amanti delle chicche filologiche che fu il grande Benjamin Britten a ripristinare tale parte soppressa offrendola al pubblico del Festival di Aldenburgh nel 1967.

Secondo l'iniziale intento di Mahler Il primo movimento avrebbe dovuto descrivere il viandante immerso nel mondo della natura incontaminata, di cui l'orchestra evoca mirabilmente le sonorità: gli archi le folate dell'aria nei campi e nei boschi, trombe e corni la vita campestre, fino al tema baldanzoso enunciato ancora dagli archi che identifica la figura l'eroe. Il secondo movimento si avvale di un Ländler (cugino rustico del valzer) con trio centrale e ripresa, mentre la scena sembra spostarsi in un paesino, nel quale è in corso una gioiosa festa agreste. Il terzo movimento cambia scenario con una marcia lenta e mesta che richiama l'idea del funerale (viene utilizzato il motivo di Fra' Martino ma in modo minore) di un cacciatore (il cui corteo funebre è ironicamente formato da animali) interrotto da musiche di strada di ascendenza ebraica e zingaresca. Il quarto e ultimo movimento viene introdotto da un fortissimo e da accordi dissonanti che annunciano l'atmosfera dolorosa attraverso la quale l'eroe-viandante guarda dentro il suo animo e avverte tutte le contraddizioni ed il profondo dolore dell'esistenza umana. Un barlume di speranza sembra aprirsi nel finale con il timido e cauto introdursi di una dolcissima melodia consolatoria.

Al di là di ogni intento poietico (sia esso semantico o asemantico) l'opera rimane ancor oggi une delle pietre miliari del sinfonismo tardo ottocentesco e apre anche spiragli sulla futura evoluzione, definizione e risoluzione del successivo sviluppo del sinfonismo novecentesco.

La mirabile partitura ha aperto venerdì 28 ottobre la Stagione Sinfonica 2016/2017 del Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania, avvalendosi dell'apprezzabile direzione di Gianluigi Gelmetti, rivelatosi un acuto lettore, analizzatore ed estensore della stessa. L'estroso ed originale conduttore ha saputo far implodere dalla quattro sezioni tutto l'afflato tardo romantico e precipuamente mitteleuropeo di un'opera che alterna congruentemente tragedia e commedia, tristezza e umorismo, disperazione e allegria, in una sapiente e articolata dialettica la cui unica risultanza rimane la nuda, cruda, semplice e disadorna condizione umana; anzi per dirla con Nietzsche “Umana, troppo umana”!

Gelmetti è riuscito a scavare fra i pentagrammi, riversando sul foltissimo pubblico convenuto nella splendida sala realizzata dal Sada, tutto il pathos e lo struggimento nostalgico della melodie e della armonie mahleriane, guidando con impulso efficace la scattante ed efficiente orchestra del nostro teatro, che ha avuto la capacità di utilizzare ed esternare a tutto campo le sue tipiche e peculiari doti artistiche e professionali.

Giovanni Pasqualino

29/10/2017

La foto del servizio è di Giacomo Orlando.