RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il giovane Puccini

Due compagini stabili di Torino hanno unito le forze mercoledì 20 marzo 2024 presso l'auditorium Arturo Toscanini: l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, OSN e il Coro del Teatro Regio. Le due formazioni hanno dato vita a un concerto interamente dedicato alla produzione giovanile di Puccini. Nella selva di appuntamenti che celebrano il centenario della sua morte, e che si concretano nella messinscena dei suoi titoli teatrali, poco spazio è riservato a quel sostrato, a quell'humus che ha fertilizzato la sua vena creativa in boccio, quando preludiava all'operista maggiore. Bene quindi che qui se ne sia offerta una rassegna. Ne è un esempio il Capriccio sinfonico per orchestra in fa maggiore, SC 55, pagina con cui un Puccini venticinquenne sanciva la fine degli studi al Conservatorio di Milano, diretta in prima assoluta da Franco Faccio il 14 luglio 1883.

E proprio col Capriccio si apre la serata, sotto la direzione di Michele Gamba. L'OSN si rivela, al solito, lucidata a specchio, e per questo concerto fuori abbonamento, che richiama folto pubblico, anche di più. Il suono è pieno, tronfio, vigoroso; sotto le mani di Puccini si declina in un'orchestrazione inventiva e lussureggiante – verso la fine arriva a ricordare il Cajkovskij di quegli stessi anni –, ma sotto le mani di Gamba tende ad essere prevaricato da ottoni e percussioni e a farsi fumoso, difficile da decifrare, con piani sonori affastellati e ampie concessioni all'umoralità, più che all'umorismo, del brano. Nulla da eccepire invece per la sezione centrale, l' Allegro vivace che più di un decennio dopo diverrà l'incipit di Bohème, eseguito con la giusta verve e già col piglio del palcoscenico (o sarà la suggestione di averlo sentito mille volte a teatro?).

Si continua con il Preludio e la Tregenda dalle Villi, un anticipo di ciò che i Torinesi ascolteranno al Regio il mese prossimo. Qui, se il Preludio resta nei contorni di una buona routine, in cui gli archi hanno modo di esibire un respiro e un palpito onorevoli, la Tregenda diventa occasione per sfogare la forza bruta dell'orchestra. D'accordo che si tratta di un ballo sfrenato di spiriti sovrannaturali, una ridda di forze primordiali; l'impiego pesante delle percussioni, tuttavia, con i colpi di tam tam annichilenti e distruttivi, da fine del mondo, con gli scoppi tonitruanti di timpani, piatti e grancassa, slatentizza la tendenza che nel Capriccio era solo un sospetto e qui diviene prova: la tendenza ad esaltare il lato più “rumoroso” della partitura (… Gamba ha sue leggi supreme…). Di certo, se l'effetto ricercato è quello della teatralità, con l'esaltazione del lato “scapigliato”, dannato, infernale, l'obiettivo è raggiunto. Ciò che manca è però la sfumatura; e per quanto qui si tratti di pagine giovanili – Le villi è del 1884, un anno dopo il Capriccio –, non dimentichiamo che sono nate dallo stesso autore di successive orchestrazioni raffinatissime.

Ma sì, so' ragazzi. Vero. A ventisei anni Puccini era un giovane lanciato nella composizione della sua prima opera, infiammato da un soggetto dalle suggestioni noir e vagheggiando il nume tutelare di Verdi, che proprio nell''84 stava mettendo la parola fine alle numerose plastiche riduttive-additive del Don Carlo ma che viveva di fatto di rendita dell'Aida di dodici anni prima, la vera folgorazione del Sor Giacomo mimmino. Scusabile quindi (fino a un certo punto ) l'esuberanza di Gamba nel trattamento di questa, se vogliamo, pagina di baldanza giovanile.

Dove diventa meno scusabile è nella seconda parte del concerto, in quella Messa di gloria SC 6 che Puccini presentò nella chiesa di San Paolino di Lucca il 12 luglio 1880 recuperando il Credo di due anni prima. Il lavoro mostra l'impegno, la dedizione e la competenza contrappuntistica del giovane compositore, per quanto talvolta si appoggi ad armonie piuttosto semplici; dove sguscia ancora è nella coerenza stilistica, accostando una serie di pezzi disomogenei, scritti in stili diversi; proprio per questo l'arte della sfumatura, della direzione “caso per caso” va utilizzata ancor più minutamente, soppesandola al saggiatore. E di nuovo, Gamba sembra dare più importanza all'impatto sonoro, più che al lavoro di bulino. Il Kyrie, per esempio, che già nel la bemolle d'impianto – la tonalità dell'amore per Verdi, del Lieberstraum di Liszt – sottende molcezze ultraterrene, viene reso, anziché incorporeo, “presente”, tangibile, certo con appropriata maestosità che però appare fuori luogo.

Il Gloria si erge con sicumera nel suo andamento saltellante, sottraendogli solennità e conferendogli festevolezza e, a parte nell'Et in terra pax, dove viene raggiunto un buon amalgama da parte del Coro, si allinea tutto sullo stesso piano, tutto in forte. In questo modo non si penalizza soltanto la scrittura orchestrale, ma anche il tenore Giulio Pelligra. Il suo Gratias agimus tibi viene coperto dall'orchestra, in parte per la voce non molto proiettata, benché dotata di piacevole timbro, in parte per la difficoltà a raggiungere la tessitura grave – il centro e l'acuto sono invece abbastanza ben dominati. La poca rotondità e qualche difetto nelle legature sono forse imputabili al poco tempo a disposizione per preparare il concerto, dato che è stato chiamato, non si sa con quanto preavviso, a sostituire il previsto Francesco Meli, impegnato in questi stessi giorni come Nemorino al Regio di Parma. Il Suscipe deprecationem nostram permette di apprezzare le due sezioni separate del Coro, la maschile e la femminile, dove le ben note qualità di questo Coro si fanno riconoscere. Causa forse l'acustica della sala, però, che già in altri concerti sinfonico-corali ha sfavorito le masse più numerose, è l'insieme delle due a dare qualche problema, che appare con-fuso, senza che traspaia la trama polifonica. Trama polifonica che dovrebbe essere vieppiù indagata nella fuga su Tu solus Sanctus e che invece si limita ad essere accennata nell'ingresso delle quattro voci, anche qui tutte appiattite senza un chiaroscuro dinamico (… armonia e contrappunto vadan dispersi insieme …). È come se non ci fosse, in sostanza, un'idea di direzione, tutto deve essere forte, tutto gridato, ed il finale del Gloria si risolve in una gara a chi grida di più.

Pelligra ancora in difficoltà nel successivo Et incarnatus est, dove non riescono ottimali gli attacchi in piano e dove solo raramente trova equilibrio col Coro. E del Coro torna protagonista il velluto della sezione maschile nel successivo Crucifixus. Al Miserere la qualità esecutiva si innalza decisamente con l'entrata di Markus Werba, voce originale, timbrata, scura e sicura, che pare persino sprecata per il breve intervento che è tenuta a fare, questo e un piccolo duettino con Pelligra.

Anche la conclusione, che giunge inaspettata, senza nessuna chiusa trionfale, non viene preparata a dovere, non viene “rastremata” nelle sonorità, e dà l'impressione di un'esecuzione tronca. Gli applausi tuttavia fioccano copiosi, se non altro per la scoperta o la riscoperta di un Puccini poco noto, in un concerto lodevole più per le intenzioni che per il risvolto pratico.

Christian Speranza

24/3/2024

Le foto del servizio sono di Sergio Bertani.