RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

La Resurrezione di Mahler

Un percorso emozionale

Sessanta archi, ventitré legni, venticinque ottoni, otto percussionisti, due arpe e organo, per un totale di centonove esecutori: queste le forze orchestrali richieste da Juraj Valcuha per il sedicesimo appuntamento della stagione dell'OSN all'auditorium Arturo Toscanini di Torino, giovedì 14 marzo 2014, in occasione del concerto più grandioso della stagione, la Seconda Sinfonia in do minore (Resurrezione) di Gustav Mahler; forze rimpolpate viepiù dal Coro Maghini, diretto da Claudio Chiavazza, e da due soliste, Malin Hartelius, soprano, e Michelle Breedt, contralto. Si può parlare di un evento più unico che raro: l'ultima esecuzione RAI antecedente a questa, infatti, risale al 21 gennaio 2006 sotto la direzione di Rafael Frühbeck de Burgos, allorché l'auditorium RAI (che sarebbe stato dedicato ad Arturo Toscanini l'anno successivo, nel 2007) riaprì i battenti al pubblico, “risorgendo” dopo un periodo di ristrutturazione.

Di questo concerto è stato girato un video promozionale, al seguente link : https://www.youtube.com/watch?v=0BVcSLq8tEo e un assaggio della prova generale: https://www.youtube.com/watch?v=ArcISLxlEJ0 .

Nel video è possibile notare come la disposizione degli strumenti fuori scena sia stata curata secondo le indicazioni (precise al limite della pignoleria) riportate in partitura. Onestamente, pensando a questo concerto, eravamo perplessi riguardo a come sarebbero stati disposti i numerosi strumenti richiesti in distanza: finché si tratta di un corno inglese fuori scena, come nella Symphonie Phantastique di Berlioz, sono sufficienti le quinte; ma quando si tratta di sistemare quattro trombe, grancassa, triangolo e «Hörner in möglichst großer Anzahl» («il più grande numero possibile di corni»: quattro, in questo caso) in uno spazio esterno al palcoscenico e in posti diversi, corni da una parte, banda da un'altra (anche questo specificato da Mahler in partitura), la faccenda si complica. Siamo stati perciò lieti di vedere come, sfruttando un pizzico di tecnologia (Valcuha è stato inquadrato in uno schermo ad uso e consumo degli strumentisti esterni, impossibilitati a vederlo direttamente), i corni siano stati posti in galleria, al secondo ordine di posti a sedere, sulla sinistra guardando l'orchestra, e la banda a pianterreno, sulla destra. Segnaliamo anche diversi raddoppi dei fiati per bilanciare il volume sonoro delle diverse sezioni (tra gli altri, quello del corno inglese, del clarinetto piccolo e del controfagotto), un accorgimento che Mahler prescriveva ad libitum a seconda della disponibilità numerica dei musicisti (soprattutto degli archi).

L'attacco del primo movimento è deciso, fermo: violoncelli e contrabbassi fendono l'aria con sicurezza, intagliando fisicamente, quasi visibilmente, il primo tema, rabbioso. Poco dopo si rimane impressionati dal volume raggiunto al primo fortissimo del tutti orchestrale. Poi sopraggiunge un secondo tema, più austero, infine un terzo, più suadente. In pochi minuti, tutto il materiale tematico è squadernato. Il primo movimento, intitolato inizialmente Todtenfeier (glorificazione della morte), è un immenso edificio dalla costruzione bizzarra, suddivisibile (un po' forzatamente) in quattro sezioni, ciascuna aperta dal primo tema variamente esposto e ripreso. È un movimento che esalta ed abbatte continuamente l'animo dell'ascoltatore, e non si fatica a credere che Hans von Bülow, quando lo ascoltò per primo al pianoforte suonato dall'autore, lo abbia bocciato senza pensarci due volte: «Se ciò che ho ascoltato è musica, allora di musica non capisco più niente», pronunciando con altre parole la stessa stroncatura che sarebbe toccata a Šostakovic anni dopo a proposito della sua Lady Macbeth: «Caos anziché musica». Ma forse è proprio quel Mahler che vuole ottenere: la rappresentazione di un incubo, di qualcosa di orrifico e senza senso: un inizio di sinfonia totalmente sprofondato nel dolore, nella tragedia, in analogia con la Quinta di Beethoven (curiosamente anche quella in do minore). Tre temi che continuamente compaiono e scompaiono, come schiene di cetacei dall'acqua, onde che si accavallano l'una sull'altra, cercando di sopraffarsi. Apprezziamo in Valcuha la direzione senza eccessi di enfasi, quando sarebbe facilissimo lasciarsi trasportare dalla vastità del pensiero sinfonico. Anche perché i passaggi in cui viene esibita una scrittura quasi cameristica, in cui dosare il peso dell'orchestra, ci sono, e non sono pochi. Si coglie in questi passaggi la fedeltà al volere di Mahler negli staccati, nelle legature, nelle dinamiche: nulla è lasciato al caso. Unico appunto: la scala cromatica discendente di terzine nel finale – quartultima e quintultima battuta – eseguita più lentamente di quanto ci si sarebbe aspettato (viene prescritto: Tempo I, ma ci sembra più rallentato – si confronti per esempio la direzione di Mariss Jansons – cosa che attenua il senso di “lama di ghigliottina” che si abbatte un'ultima volta sull'ascoltatore e che avrebbe suggellato in modo perfetto l'esecuzione).

Al termine della Todtenfeier Mahler prevede una pausa di almeno cinque minuti («Hier folgt eine Pause von mindestens 5 Minuten»), per staccare questo movimento dal resto della sinfonia: ma è rarissimo che questa pausa venga rispettata, e infatti il secondo movimento procede in continuità col primo. Peccato. Nell'Andante moderato il clima espressivo cambia totalmente: vi è una serenità diffusa, le nubi minacciose si sono scaricate nella potenza della Todtenfeier; un secondo tema – che richiama volutamente lo Scherzo della Nona Sinfonia di Beethoven – sporca questa serenità d'inquietudine, ma l'impressione generale è quella di essersi lasciati il peggio alle spalle. Nella direzione di Valcuha, questo si traduce in una leggerezza d'insieme che fa trasparire le trame del tessuto orchestrale, e sebbene Mahler non abbia ancora raggiunto qui la densità di scrittura che caratterizzerà soprattutto la Quinta, la Sesta e la Settima Sinfonia, è già possibile incontrare, in questo Andante, numerosi passaggi ad archi divisi in più sezioni, ciascuna da sfumare di più o di meno, a seconda di dove venga intonata la linea melodica: cosa non facile da ottenere.

Lo Scherzo della sinfonia, in terza posizione, è il movimento, a nostro avviso, meglio diretto. Vi si ravvisa tutta l'esperienza di un direttore che sa mettere a frutto la collaborazione continua con la sua orchestra e la cura del dettaglio. Si tratta della trasposizione strumentale di un Wunderhorn-Lied composto da Mahler in precedenza, La predica di Sant'Antonio da Padova ai pesci: è curioso a tal proposito notare come, in ognuna delle prime tre sinfonie, uno dei movimenti sia sempre debitore di una composizione originariamente destinata alla voce (il secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen nel caso della Prima , il Lied intitolato Absölung in Sommer nel caso della Terza). I timpani scoperti, in fortissimo, fanno ripiombare l'ascoltatore nel clima cupo del primo movimento. Ma qui è diverso. C'è quel quid di sottilmente luciferino che caratterizzerà anche lo Scherzo della Settima e della Decima , ravvisabile nelle volate sibilline degli archi, negli schiaffi della ruta, negli interventi sferzanti e ironici di trombe e clarinetti, che hanno qualcosa della musica klezmer (nota a Mahler grazie alle sue origini ebraiche), il tutto magistralmente diretto da Valcuha. Possiamo pensare per questa sinfonia, come per altre, al percorso di un immaginario “eroe sinfonico”, trasposizione forse dell'uomo in generale. E, se nel primo movimento l'eroe sinfonico si trova in uno stato di prostrazione e nel secondo comincia ad intravedere un po' di luce, nel terzo (e lasciamo la parola a Mahler) egli rivolge lo sguardo «al ribollire crudele dell'esistenza, alla mescolanza delle apparenze e allo spirito d'incredulità e di negazione che si è impadronito di lui. Egli dubita di se stesso e di Dio, il disgusto per il divenire di ogni vita lo investe come un pugno d'acciaio e lo tortura fino a fargli uscire un forte grido di disperazione». E quel grido lo sentiamo in orchestra, verso la fine; dopodiché, una breve ricapitolazione tematica porta ad una conclusione sprofondata nel registro grave di controfagotto, corni, arpe e contrabbassi, sullo sfondo del tam-tam. Una conclusione funerea, che avvolge il tutto in un fumo scuro, che avvolge ed annichilisce tutto.

Ma ecco arrivare il quarto movimento. Il contralto intona le parole di Urlicht (Prima luce), poesia tratta dal Wunderhorn (ma ci rammarichiamo del fatto che Michelle Breedt sia quasi sempre coperta dall'orchestra, perché, se è vero che si deve cantare tutto questo pezzo a mezza voce, con delicatezza – Mahler indica solo piano e pianissimo –, è pur vero che bisogna sovrastare circa un centinaio di strumentisti…). Dopo il «pugno d'acciaio» del terzo movimento, un intermezzo che richiama le parole di Brentano: « La musica di Mahler accarezza maternamente i capelli a quanti si rivolge ».

Ma si tratta di un lampo fugace: con rinnovato vigore, il «forte grido di disperazione» dello Scherzo apre, ingigantito dall'intervento degli ottoni, il Finale , il più lungo movimento sinfonico composto da Mahler (esclusa l'Ottava Sinfonia; ma l' Ottava è più di una sinfonia: è un miracolo). Questa sferzata sonora, resa da Valcuha con una potenza devastante, introduce la prima parte del movimento: e, com'è tipico di altri movimenti mahleriani (uno su tutti, il Finale della Sesta), i vari temi vengono presentati gradualmente, quasi “per caso” (inclusa una rivisitazione del Dies iræ gregoriano), preparando così il terreno per la battaglia sonora decisiva. Dall'alto risuona il “grande appello” (corni in distanza): la messa in musica del Giudizio Universale! Timidamente, l'oboe risponde, si fa avanti, come strisciando al cospetto di una potenza superiore. Pian piano il movimento prende forma: un lungo percorso, un saliscendi infinito di emozioni suscitate ora da un tema, ora da un altro, in cui si unisce anche una banda fuori scena, “disturbando” con suoni triviali il resto dell'orchestra che si sforza di elevarsi. Poi, dopo l'ennesimo scoppio d'orchestra, che cita ancora una volta il «grido di disperazione», flauto e ottavino si librano nell'aria «wie eine Vogelstimme» («come un canto d'uccello»): «In un silenzio terribile, ci sembra di riconoscere un usignolo lontano, come un'ultima eco della vita terrestre!» (Mahler). Ora, sarà stata forse solo suggestione, ma, mentre il feretro di Gustav veniva calato nella tomba, il 22 maggio 1911, Josef Bohuslav Förster, amico sincero del defunto, nonché compositore egli stesso, riferì di aver sentito «da qualche parte un uccello che canta», cosa che gli rammentò proprio questo passaggio del Finale della Seconda … Ognuno tragga le proprie conclusioni. Di qui in avanti ci si eleva verso le sfere celesti. Interviene il coro, che, pianissimo, sussurra: «Aufersteh'n», «Risorgerai»: il corale di Klopstock, l'ispiratore dei “poeti di Gottinga”, che Mahler ascoltò nel febbraio del 1894 al funerale di quello stesso von Bülow che, tre anni prima, aveva duramente criticato la sua Todtenfeier. Finalmente la luce, quella vera, comincia a illuminare l'animo dell'ascoltatore, su, su, fino alla conclusione sfolgorante, dove il nostro eroe sinfonico trova finalmente la felicità, una felicità che profuma di eterno, di assoluto, di trascendente: «Con le ali che io stesso ho conquistato, / In un bruciante slancio d'amore, / Prenderò il volo verso la luce / Che nessuno sguardo ha mai penetrato! / Morirò per rivivere»: versi di Mahler interposti fra quelli di Klopstock. Buona, anche se non ottima, la prova del soprano Malin Hartelius in questo finale, assieme a Michelle Breedt. Al Coro Maghini, ottimamente amalgamato e diretto dal maestro Chiavazza, un plauso, ma soprattutto un ringraziamento per l'intensità dell'interpretazione che abbiamo registrato. E perché no? Un plauso anche a Mahler!

Che cosa portare a casa al termine di una serata come questa? Il ricordo di note che si sono sparse per l'aria, scese direttamente al cuore, depositatesi poco a poco nell'anima, filtrate dall'intelligenza per chi ha voluto coglierne (anche) il lato tecnico; note evanescenti, scomparse una frazione di secondo dopo essere state emesse, come tutte le note del mondo, come la felicità alla fine della Seconda Sinfonia, conquistata a prezzo di sforzi e sofferenze, e riconducibile anch'essa ad un istante, non appena archi e fiati hanno smesso di suonare: come la felicità in generale; ma il ricordo, il ricordo di aver vissuto quell'attimo, di aver assaporato quell'istante permane, e lo porteremo con noi per sempre. E in tal senso quell'istante e quella felicità diventano eterni. Per Mahler, scrivere una sinfonia significa «esprimere tutto il contenuto della vita». E a noi piace pensare che il percorso in ascesa della Seconda, verso «la luce / Che nessuno sguardo ha penetrato» sia metafora della vita di ciascuno di noi. A volte, dopo aver vissuto la nostra personale Todtenfeier, dopo aver ricevuto il nostro personale «pugno d'acciaio», quale che sia stato, basta una persona che ci venga vicino e ci sussurri: «Aufersteh'n», «Risorgerai», per condurci alla luce di un istante eterno di felicità; se la persona è quella giusta.

Christian Speranza

1/4/2014