RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il pentagono rossiniano

Ermione a Rostock

Il triangolo in amore? Troppo scontato. Innovando dunque, Gioachino Rossini e il librettista Andrea Leone Tottola introdussero il pentagono. Nell' Ermione infatti Oreste ama la protagonista, che ama Pirro, il quale ama Andromaca, senonché quest'ultima non ama che Ettore, l'eroe troiano suo defunto marito. Questa inconsueta opera seria in due atti, ventisettesima nel catalogo di un compositore appena ventisettenne, andò in scena al Teatro San Carlo di Napoli il 27 marzo 1819 (suggestiva serie di 27). Ermione, mutuata con sostanziale fedeltà dall'Andromaque di Jean Racine (1667), a sua volta liberamente attinta all'Andromaca di Euripide, "fu il primo vero insuccesso di Rossini a Napoli. L'accoglienza di un pubblico che non capiva questo melodramma esagerato in tutti i sensi, anche nell'essere troppo avanti nel tempo, fu molto tiepida" (Vittorio Emiliani, Il furore e il silenzio. Vite di Gioachino Rossini, Bologna 2007, p. 190).

E realmente era troppo avanti nel tempo Ermione – dove il più fulgido Rossini coniuga stupendamente potenza drammaturgica e ispirazione musicale – se ha dovuto attendere la riscoperta tardonovecentesca di Pesaro (1987) per conquistare e convincere di volta in volta un pubblico in virtù delle sue singolari bellezze.

Si è letto e ripetuto che la carriera teatrale di Ermione non andò oltre le poco felici sette rappresentazioni della prima sancarliana, mentre l'opera ebbe invece diritto a una sia pur solitaria ripresa nel 1828 a Siviglia.

Il summenzionato Pirro, re dell'Epiro (da non confondere con l'omonimo posteriore e più notorio), è figlio del Pelide Achille, quello dell' Iliade. Achille? Ma se era civilmente unito con Patroclo – visto che all'epoca, almeno in Grecia, le unioni civili tra maschi erano pienamente ammesse, anzi con corsia preferenziale, e riconosciute dalle leggi – per avere questo figlio avrà sicuramente fatto ricorso a un utero in affitto, probabilmente quello della compiacente schiava Briseide. L'essere Pirro cresciuto quindi tra due padri, anziché con un padre e una madre, non lo aveva predisposto a una vita adulta “innaturale”, tant'è vero che prima si era fidanzato con Ermione per innamorarsi in seguito follemente della malcapitata Andromaca, vedova di Ettore e prigioniera di guerra. Ed è qui che ha inizio la vicenda che interessa il melodramma. Vicenda che è singolarmente ridotta all'osso quanto a peripezie. Pirro intende ad ogni costo impalmare Andromaca, alla quale preme soltanto l'incolumità del figlioletto Astianatte, di cui gli alleati greci di Pirro desiderano la morte. Con un ricatto della più bell'acqua, Pirro costringe la vedova troiana ad acconsentire alle nozze in cambio della salvezza di Astianatte. Ma Ermione, ormai esclusa, spinge Oreste a uccidere Pirro. Quando Oreste riappare ad annunciarle di avere eseguito il sanguinoso compito, Ermione precipita in un abisso di disperazione e respinge e maledice l'amante non amato uccisore.

Già da qualche anno il Volkstheater di Rostock arricchisce la vita musicale dell'importante porto baltico meclemburghese, organizzando un Festival del Belcanto, che quest'anno si è svolto tra il 5 e il 28 marzo ed ha abbinato alle quattro rappresentazioni di Ermione due esecuzioni oratoriali di Maometto II, altro titolo “himalaiano” del Pesarese.

La scena fissa ideata, assieme ai costumi moderni, da Julian Gothe, raffigura una via di mezzo tra una lounge a cielo aperto e l'atrio con palmizi della reggia di Pirro. Non molto altro arreda l'ambiente, in cui spicca un tavolinetto-bar ben provvisto di alcolici vari, consumati a turno dai personaggi e con più assiduità da Cleone, l'agitata confidente della protagonista. La regia di Lars Franke, coadiuvato da Friedrich Packmohr, si mantiene abbastanza sobria e funzionale all'azione, senza indulgere in rompicapi criptici (il che può considerarsi un pregio), con una persuasiva fluidità di movimenti di Coro e solisti.

La direzione della Norddeutsche Philarmonie locale era nelle agguerrite mani di David Parry, che da oltre un trentennio è associato alle valorose (e clamorose) riscoperte della londinese Opera Rara (mi ha fissato trasecolato nell'udire che nel 1983 ero tra gli spettatori di Maria, regina d'Inghilterra di Pacini, da lui diretta al Festival di Camden (Londra)). Secondato dal diligente Coro della casa, affidato a Joseph Feigl, Parry si è misurato con sicura bacchetta e scaltrito approccio con la marezzata partitura rossiniana, esaltandone ritmi, colori ed espressività, e dando mordente a brani solistici e insiemi, ai vari duetti che la innervano suggestivamente, nonché al concertato del Finale primo con quell'allucinata astrazione della melodia dell'andantino. Più che ragguardevole nel suo insieme il cast riunito, in cui emerge prorompente la protagonista, il soprano Gulnara Shafigullina, che scala imperterrita l'impervia tessitura del suo ruolo con lucentezza di timbro ed eloquenza vocale, in particolare nel tempestoso e formidabile Finale ultimo, che rasenta l'espressionismo di là da venire. Regge il confronto il deuteragonista Pirro, impersonato dal tenore Paul Nilon con strenuo impegno e pregevole coloratura. Si fanno valere tutti gli altri, dal mezzo soprano Jasmin Etezadzadeh, intensa e dolente Andromaca, al tenore Ashley Catling, veemente e trascinante Oreste. Vanno aggiunti, non soltanto per nominarli, il tenore Garrie Davislim (Pilade), il soprano Theresa Grabner (Cleone), il basso Karl Huml (Fenicio), il soprano Takako Onodera (Cefisa) ed il tenore Daniel Philipp Witte quale Attalo, che, rimasto senza voce, ha mimato sulla scena il suo personaggio, mentre in disparte un corista cantava al suo posto. Da segnalare infine il ragazzino Lukas Moller, grave e compenetrato nel ruolo muto del piccolo Astianatte.

Fulvio Stefano Lo Presti

13/4/2016

 
Le foto del servizio sono di Frank Hormann.