RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La fanciulla del West

alla Scala di Milano

Il progetto Puccini iniziato da Riccardo Chailly lo scorso anno prosegue con il nuovo allestimento de La fanciulla del West e la regia di Robert Carsen.

L'opera alla prima rappresentazione assoluta, New York Teatro Metropolitan 10 dicembre 1910, segnò il massimo successo di pubblico e critica per il compositore. Merito anche di un cast eccezionale: Emmy Destinn, Enrico Caruso, Pasquale Amato, e sicuramente la bacchetta di Arturo Toscanini. Lo spartito non ebbe mai prassi esecutiva facile perché i tre protagonisti sono impegnati vocalmente e scenicamente innegabilmente in parti molto gravose. Con Fanciulla il teatro musicale e umano di Puccini si trasforma rielaborando la propria visione teatrale. Il sentimento non è più fine a se stesso ma è risonanza o compendio del dramma ambientalistico estraneo che lo circonda. Quel mondo violento del West, fosche passioni, esistenza di solitudine assetata di ricchezza, una sommaria brutalità di vita, è stato raffigurato in musica da Puccini con scorci potenti e scene impetuose. I tre protagonisti sono fondamentali nel racconto: Minnie, una donna sincera e innamorata, Dick Johnson, un idealista redento dal banditismo a sua volta ispirato da un sentimento sincero, e Jack Rance, uno sceriffo avventuroso in amore ma che disegna anche aspetti carnali e truci con attimi violenti di vendetta. Le figure di contorno sono molto riuscite pur nei brevi interventi e non mancano di esercitare il loro peso musicale nel primo atto con aspetti nostalgici o nell'ultimo quadro in un coro uniforme d'addio a Minnie e Dick. Scrivendo un'opera ambientata negli Stati Uniti, Puccini non si esime dal citare melodie dl folklore locale e a fianco di musiche proprie vi sono citazioni da “The old dog Tray”, “Dear old house” e “Dooda Day”.

Il vero trionfatore di questa Fanciulla è Riccardo Chailly, direttore principale della Scala, che ha concertato l'edizione del manoscritto originale in sostituzione di quella solitamente eseguita che si rifà alle varianti e ai tagli effettuati da Toscanini in occasione della prima assoluta. Come spiega il maestro Chailly nell'intervista pubblicata nel programma di sala “…le modifiche di Toscanini furono necessarie per le condizioni d'acustica del Met di allora… in differente situazione sonora mi sembra oggi interessante proporre l'intenzione originale dell'autore”. Questa “prima” versione contiene l'inserimento di tre brani, circa centoventiquattro battute in più, tra cui un breve duetto Minnie-Billy, eliminata una cadenza del tenore (peculiarità voluta da Caruso), ed è possibile ipotizzare che le passioni sanguigne del compositore siano più morbide e sfumate. Pur seguendo questa linea Chailly ha diretto, o meglio cesellato, l'opera con maniaca cura del dettaglio, nota per nota, creando un racconto di grande pathos teatrale e di largo respiro orchestrale, anzi portando proprio la splendida orchestra scaligera a vette altissime per coesione di suono e mirabile affezione. Una grandissima prova di direzione che ha rilevato tinte e trasparenze musicali a noi sconosciute, peraltro sempre in perfetta sintonia con la narrazione drammaturgica e in precisa simbiosi con i cantanti.

Purtroppo la produzione ha dovuto trovare un accomodamento per l'improvvisa malattia della protagonista scritturata, e trovare un diverso equilibrio con Barbara Haveman, la Minnie recuperata all'ultimo, la quale pur dimostrando temperamento e buona arte scenica evidenziava molti limiti vocali in una così difficile partitura. Il registro acuto è molto limitato e le poche uscite erano stridule, la gamma delle sfumature e dei colori molto monotone ma nel complesso accettabile, anche se data l'operazione di Chailly era lecito aspettarsi di più.

Molto bravo Roberto Aronica, Dick Johnson, tenore oggi in piena ripresa che a differenza di una recente prova bolognese qui alla Scala trova un terreno fertile per mostrare grande musicalità, senso del fraseggio e una pertinenza vocale rilevante, aspetto che forse qualche anno fa non era ipotizzabile, ne siamo ben felici e speriamo che tale strada sarà seguita con altri successi.

Carlo Sgura, Jack Rance, è baritono con voce solida e abbastanza potente, peccato che in tale ruolo non riesca a essere incisivo con un canto variegato, soprattutto modulato nei colori e ricercato nella complessa psicologia del personaggio.

La lunga schiera dei ruoli di fianco, decisamente non marginali, era ben amalgamata. Impagabile sia musicalmente sia scenicamente il Nick di Carlo Bosi, tornito e preciso il Sonora di Alessandro Luongo, puntuale l'Happy di Francesco Verna e molto bravo Romano Dal Zovo nell'assolo di Larkens. È doveroso citarli tutti precisando l'ottima prova fornita: Gabriele Sagona (Ashby), Marco Ciaponi (Trin), Gianluca Breda (Sid), Costantino Finucci (Bello), Emanuele Giannino (Harry), Krystian Adam (Joe), Alessandro Spina (Billy), Alessandra Visentin (Wowkle), Davide Fersini (Jack), Leonardo Cortellazzi (Castro) e Francesco Castoro (un postiglione).

Robert Carsen firma uno spettacolo bellissimo, è coautore anche di scene e luci. Egli ha impostato una drammaturgia “classica” molto raffinata, focalizzando i punti più passionali con delicatezza encomiabile. Nulla è dato al caso, ogni gesto, ogni sguardo sono accuratamente studiati e ben tracciati nel racconto epico. In tale ottica si è avvalso di alcune “icone” (almeno per noi europei) del far-west, attingendo dal cinema con proiezioni brevi di film d'epoca che raccontano (a loro modo) l'epopea americana dell'Ottocento. Abbiamo rivisto squarci di “My Darling Clementine” di John Ford (con un giovanissimo Henry Fonda), e altri di cui non saprei il titolo, tuttavia queste visioni (molto limitate) non disturbavano, anzi accentavano il mondo del west in maniera molto efficace. Bellissima la scena del saloon, che si rifaceva a un celebre hotel costruito da Buffalo Bill ed elettrizzante la grande vallata proiettata sul fondo nel primo atto. Giustamente claustrofobica e sghemba la casa di Minnie nel II atto, e grande coup de théâtre nel finale: Minnie ormai star, perché il film omonimo fu un grandissimo successo, saluta i minatori davanti al Lyric Theatre di New York e tutti i minatori per poterla vedere un'ultima volta comprano il biglietto per entrare alla videoproiezione. Un racconto molto funzionale e stilisticamente ben ideato come Carsen è capace, una visione che appassiona e commuove allo stesso tempo.

Le scenografie erano ideate in coppia con il bravo Luis Carvalho, bellissimi i costumi di Petra Reinhardt, straordinarie le luci dello stesso Carsen e Peter van Praet. Successo pieno.

Lukas Franceschini

21/5/2016

Le foto del servizio sono Brescia e Amisano - Teatro alla Scala di Milano.