RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Madrid

Per la prima volta l'ultima opera di Rimskij

Unico titolo che l'autore non ha potuto vedere, Il gallo d'oro (1909, Mosca), che prende spunto dal poema omonimo di Puskin, è una satira sfrontata su un vecchio zar scemo e capriccioso, i due figli idioti, un generale apatico, una nutrice ossequente ma cattiva con i suoi pari, dei boiardi servili e un popolo stolto che tutto accetta perché sicuramente ce lo meritiamo. Se dispiaceva alla censura di allora forse potrebbe dispiacere oggi nello stesso paese dove nacque e in tanti altri. Per di più, ci sono un astrologo ambiguo (Rasputin?), una regina spietata che si serve delle passioni che desta per ottenere quanto desidera (il potere), e questi, secondo l'astrologo stesso nell'epilogo, sono i due unici caratteri veri. C'è poi il famoso gallo del titolo, regalo avvelenato dell'astrologo, perchè alla fine, quando lo zar ammazza l'importuno che gli chiede la regina in dono, viene ucciso a sua volta dall'animale.

L'opera, contrariamente all'anteriore (Kitej) e altre, è breve, con dei personaggi poco simpatici e comunque ridotti a marionette o peggio. Al mondo tradizionale e privo di senso – e quindi le marce troppo facili e rozze, e gli echi del grande lamento del coro nel Boris Godunov presi in giro – si contrappone, vincitore, quello degli stranieri. Come diceva Rubens Tedeschi nella sua analisi (I figli di Boris, 1990, EDT, Torino, pag.113): «Uni e trini, il Gallo, l'Astrologo, la Regina hanno la moderna e inesorabile efficienza delle macchine del ventesimo secolo, la razionalità di un'arte che ha smarrito, al pari della società, le commozioni del cuore».

Ha fatto benissimo il Teatro Real a unirsi a quell'onda che sembra riportare sui palcoscenici europei alcune delle opere di Rimskij, quasi sparite. E per fortuna l'ha fatto molto bene. L'allestimento, in coproduzione con La Monnaie di Bruxelles e l'Opéra di Lorraine, per la regia e i costumi (spassosi e bellissimi) di Laurent Pelly, è agile, fa ridere e pensare e manca di assoluto rispetto per i ridicoli (geniale la presentazioni dei due figli cretini dello zar), e prende le distanze, ma non ride troppo, dai cattivi. Il gallo inoltre è raffigurato in scena da una brava ballerina (Frantxa Arraiza) mentre dalla buca la non facile parte (anche se breve) viene cantata molto bene da Sara Blanch.

La direzione d'Ivor Bolton è azzeccatissima, l'orchestra è tutta scintille, e se c'è qualche volta un volume alquanto esagerato è sicuramente perchè lo richiede il momento – peccato che nell'atto terzo sovrastasse il coro di donne in alcune belle frasi. Per il resto, il coro, preparato da Andrés Máspero, si faceva sentire eccome.

C'era una doppia compagnia di canto, complessivamente entrambe molto brave. Lo zar di Dmitry Ulianov era un esempio di canto e la composizione era comica ma misurata. Il contrario si avverava per Alexey Tikhomirov, alquanto sfrenato e con una voce più scura ma anche più problematica in zona acuta (atto primo).

I figli dello zar erano Sergei Skorokhodov e Alexey Lavrov, corretti, ma strepitosi invece Boris Rudak e Iurii Samoilov. Il voivoda (governatore militare) Polkán veniva sempre affidato all'eccellente (in tutti i sensi) Alexander Vinogradov. Amelfa, la nutrice, veniva incarnata dalla bravissima Olesya Petrova, voce importante e brava attrice, e dalla più veterana (almeno come voce) Agnes Zwierko, anch'essa un po' sopra le righe.

L'Astrologo di Alexander Kravets (una voce chiaramente da tenore caratterista) risolveva le tante insidie della parte (tessitura molto acuta) con il falsetto e grande padronanza scenica. Altrettanto padrone del ruolo ma con la voce più adatta (di falsetti ne abbiamo avuto solo uno) Barry Banks risultava chiaramente superiore.

La Regina aveva le voci e le figure di Venera Gimadieva e Nina Minasyan. La prima più completa come interpretazione e un canto squisito, pur con qualche sovracuto in meno; la seconda, più acerba come interprete, visto che erano molto evidenti – e non sempre felici – i gesti preparati con cura ma senza troppa spontaneità, è un soprano leggero, e quindi di acuti più facili ma per il resto di voce più piccola anche se riusciva a farsi sentire.

Pubblico moderatamente entusiasta. Il teatro, se non proprio gremito, comunque era parecchio pieno.

Jorge Binaghi

2/6/2017

Le foto del servizio sono di Javier del Real.