RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

 La Gazzetta

al Rossini Opera Festival

Il secondo titolo del Rossini Opera Festival è stato La Gazzetta, opera non nuova a Pesaro, fu allestita nel 2001 e ripresa nel 2005, ma l'edizione odierna riveste il carattere di una prima ripresa moderna. Il dramma per musica in due atti fu composto nel periodo napoletano del compositore e ivi rappresentata al Teatro de' Fiorentino il 20 settembre 1816. Fu un successo ma non paragonabile ad altri titoli buffi o giocosi come Barbiere, Italiana e Pietra del paragone, tuttavia non è da sottovalutare l'aspetto comico partenopeo che contraddistingue l'opera, anche se ambientata a Parigi. Le repliche furono a Napoli e in qualche altra città, come Palermo, vedremo dopo il perché, poi l'oblio. Qualche riesumazione isolata alla gloriosa Rai di Napoli nel 1960 e una alla Radio Svizzera nel 1977, per arrivare al Rof del 2001 con l'edizione critica. Qui iniziano i problemi poiché nella Gazzetta manca un quintetto autografo nel primo atto. Gli studiosi, del calibro di Philip Gossett, Fabrizio Scipioni e Stefano Piana, che si sono cimentati nell'arduo lavoro, hanno costatato che il quintetto non esisteva in quanto a spartito, ma era stato pubblicato come libretto anche da un editore parigino. Il fatto consiste che a livello drammaturgico senza questo insieme l'opera subisce una pesante mutilazione, la quale rende incomprensibile o almeno non lineare la trama. Nella prima ripresa moderna con edizione critica si decise di far declamare i versi del quintetto mancante dai personaggi sostenuti da un fortepiano che suonava la melodia della celebre canzone “La danza” tratta dalle Soirées musicales di Rossini. Soluzione pertinente e anche divertente, assistetti alle recite e la soluzione funzionò, anche in virtù della fantasmagorica regia di Dario Fo. Quando compose l'opera, Rossini si avvalse di molti autoimprestiti, la sinfonia sarà quella della Cenerentola, brani o concertati da Barbiere, Torvaldo e Dorliska, Scala di seta, non presi a sé stanti ma modificati nel contesto del nuovo lavoro, cambiamenti di tono o incipit che anche un non esperto ascoltatore potrebbe comunemente riconoscere. In questa funzione una nuova revisione critica curata da Stefano Piana e allestita a Wildbad nel 2007, realizzava il quintetto con “nuova” musica presa a prestito dalle opere citate e rielaborate musicalmente per la metrica del libretto. La notizia shock arrivò nel 2011, apparsa in qualche trafiletto sui quotidiani ma rilevata con risonanza mondiale sulle riviste musicali, quando a Palermo negli archivi della Collezione del Conservatorio il bibliotecario Dario Lo Cicero trovò il manoscritto autografo originale del famigerato “Quintetto”. Come quest'autografo sia finito nella città siciliana, è mistero, si potrebbe supporre che fu lo stesso Rossini a mandare la musica in previsione di alcune recite nel 1828 al Teatro Carolino, unica ripresa durante l'Ottocento, ma è pura ipotesi. Purtroppo a Palermo è stato ritrovato solo il manoscritto del quintetto ma nulla dei recitativi delle scene precedenti e successive, i quali sono essenziali per qualsiasi esecuzione dell'opera. Sono stati quindi interamente musicati da Philip Gossett per completare la lacuna. Tutto questo per far capire l'importanza di questa nuova edizione de La Gazzetta che con il contributo della Fondazione Rossini e degli studiosi ha offerto al pubblico italiano una nuova luce musicale dell'opera.

Per tale première il Rof ha voluto allestire un nuovo spettacolo affidato alla bravura di Marco Carniti, il quale ha creato una regia briosa e calzante con molte scene ispirate ad un teatro partenopeo d'altri tempi ma coerente e apprezzabile. Tutti i personaggi sono stereotipati in una Parigi anni '30, ma sempre con eleganza e mai trovate banali, anzi sviluppando tocchi divertentissimi come quando i tre protagonisti maschili escono dalla scena dopo un terzetto minando i ballerini classici. La scena scarna, di Manuela Gasperoni, è composta di fondali bianchi apribili, da dove entrano i cantanti e il coro, e un grande bancone che è utilizzato in diverse situazioni come la reception dell'hotel o la passerella per una sfilata di moda, sempre lineare e nel segno dell'eleganza. Bellissimi i costumi di Maria Filippi, la quale ha avuto modo di sbizzarrirsi in colori sgargianti e mise, soprattutto per le donne, di grande classe.

Inutile nel finale l'entrata dell'attore-mino Tommasino con il cartello “con la cultura si mangia?”, epiteto ormai logoro ed abusato, soprattutto per coloro i quali tale concetto non vogliono concepirlo.

Bellissima la direzione di Enrique Mazzola, che trova collaborazione dall'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna di alto rango. Tempi serrati, crescendo frizzanti, linea narrativa d'incalzante briosità, il tutto nell'ottimo rapporto con i cantanti che nell'insieme ha portato a risultati uditivi più che ottimi.

Le tre figure maschili protagoniste hanno portato al successo l'opera con esiti quasi trionfalistici. Nicola Alaimo, Don Pomponio, era irresistibile nel ruolo, simpatico, spigliato e sornione. Dotato di voce rilevante e ben dosata nel fraseggio, per non parlare dell'ottimo recitativo, ad essere puntigliosi dovrebbe raffinare talune puntature acute non sempre calibrate, ma nel complesso una gran bella prova. Altrettante lodi per l'Alberto di Maxim Mironov, il tenore russo ha corretto alcuni difetti che avevamo rilevato in occasioni precedenti, oggi si presenta come cantante rifinito, sciolto nelle agilità, dizione perfetta, accento e colore molto pertinente. Ha conseguito un particolare successo personale al termine dell'esecuzione dell'aria del II atto.

Completa il terzetto il simpatico Vito Priante, il quale unisce presenza scenica di prim'ordine ad un'esecuzione vocale rilevante perché dotato di voce robusta ma duttile, afferratissimo nelle agilità e con fraseggio eloquente.

Lascia perplessi la scelta di Hasmik Torosyan nel ruolo di Lisetta, che riesce nella sua esibizione più per arte scenica che vocale. Manca di comunicativa vocale ed accento precario, con notevoli mancanze nel settore acuto.

Raffaella Lupinacci realizza una Doralice garbata quanto civettuola esibendosi in un canto forbito mentre José Maria Lo Monaco si ritaglia un successo personale nell'aria che apre il secondo atto eseguita con soave garbo. Molto bravi i cantanti di contorno quali Andrea Vincenzo Bonsignore, Monsù Traversen, ed Anselmo interpretato da Dario Shikhmiri.

Eccezionale la presenza dell'attore Ernesto Lama, le lodi si sprecano per una resa teatrale di grande effetto.

Molto preciso e corretto il contributo del Coro del Teatro Comunale di Bologna diretto da Andrea Faidutti. Successo trionfale al termine per tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

21/8/2015

Le foto del servizio sono di Studio Amati Bacciardi.