RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Giovanna d'Arco

al Verdi Festival

Giovanna d'Arco, opera di Giuseppe Verdi composta per il Teatro alla Scala nel 1845, ritorna al Verdi Festival in un nuovo allestimento concepito per gli spazi del Teatro Farnese. L'opera è da sempre un discusso spartito: in parte amato dal pubblico fin dalla prima esecuzione, sovente dissacrato dalla critica. Talvolta si usa affermare che la verità sta nel mezzo, non questa volta, Giovanna non è un capolavoro. A parte questo non è che tutto sia da buttare, qualche melodia, aria e un terzetto sono rilevanti sempre però commisurati con gli “anni di galera” di Verdi, nei quali oltre ad una frenetica produzione (l'opera fu scritta in due mesi) vi fu una ricerca continua di stile, innovazione, i quali sarebbero sfociati integralmente e in veri capolavori dopo pochi anni. È vero che anche opere minori devono avere la loro luce e spazio, in particolare in un festival monografico, e le si potrà così apprezzare anche in parte, qualora un cast rilevante fosse in condizione di eseguire questo. Caduta presto nell'oblio, Giovanna d'Arco ebbe una prima ripresa nel 1951 durante le esecuzioni per il cinquantesimo della morte di Verdi, e progressivamente fu riscoperta gradualmente per arrivare ai giorni odierni, nei quali la frequenza è abbastanza assidua. Curioso che in una ripresa ottocentesca a Palermo, per problemi con la censura borbonica che si oppose al soggetto, la musica fu adattata a un nuovo libretto dal titolo: Orietta di Lesbo.

Per la seconda volta nel corso della sua esistenza, il Verdi Festival si trasferisce dal Teatro Regio al vicinissimo Teatro Farnese all'interno del complesso della Pilotta. Gioiello dell'architettura italiana, autore fu Giovanni Battista Aleotti, non fu un edificio dedito all'opera, bensì a feste, e altro tipo di manifestazioni tipiche dell'epoca. Pertanto l'acustica non è delle migliori e gli spazi devono essere ripensati per uno spettacolo operistico odierno. Rispetto al Falstaff di qualche anno fa la disposizione è capovolta, l'originale palcoscenico è coperto da una platea inclinata che arriva fino alla cavea d'entrata, nella quale è stato costruito a destra un ristretto palco tondo e a sinistra lo spazio per la posizione dell'orchestra. In quest'area ridottissima i registi Saskia Boddeke e Peter Greenway inventano una regia molto moderna utilizzando belle proiezioni al laser e giochi di colori. Assieme al loro staff, Elmer Leupen (video), Annette Mosk (scenografa, a impegno minimo), Cornelia Doornekamp (costumi), Floriaan Ganzevoort (luci), Peter Wilms (video design), Lara Guidettti (coreografie), creano uno spettacolo troppo invadente con troppe idee e non sempre realizzate al meglio. Già lo scenario naturale offre una grande suggestione, utilizzarla con un progetto laser (si è visto durante la sinfonia) sarebbe stato sufficiente, invece il team di registi ha voluto aggiungere di tutto e di più in maniera superflua. In primis le due bravissime ballerine, che raffigurano Giovanna innocente e guerriera, una serie d'interminabili proiezioni d'immagini sacre, che sovente disturbano la concentrazione dall'esecuzione. Il rosso è il colore predominante che determina passione, sangue, e violenza, e quando appare il Re, il potere, si visualizza una corona ferrea, idea questa originale e pertinente, nella quale predomina il colore oro È risultato pure superflua tutta l'attualizzazione della vicenda storica, in seguito supportata anche dalla leggenda. Il muro costruito dai mini con ovvi riferimenti europei, la proiezione logora e abusata di campi di concentramento di ieri e di oggi, le immagini di profughi che potrebbero fare riferimento alla Siria. In un'opera di due ore scarse di musica abbiamo visto troppo, capito forse anche meno di quanto hanno voluto farci vedere, e se mi è permesso, credo che i due registi si siano lasciati prendere la mano nel timore di non creare nulla di nuovo o di sensazionale. In tale ottica, come predetto, molto era superfluo, mancando invece di creare una linea drammaturgica più incisiva sui personaggi, in particolare la protagonista, lasciata sola in figura statica, quando invece sia nell'opera sia nella storia era tutt'altro. I costumi erano piuttosto banali, pertinenti le luci, discutibili le entrate e uscite del coro sempre in processione sugli spalti del teatro, ma è anche doveroso affermare che con tale disposizione non c'erano tante altre possibilità.

Validissimo invece l'apporto che I Virtuosi Italiani hanno dato all'esecuzione musicale, anche se la bacchetta, Ramon Tebar, pur essendo stata molto musicale e prudente nella sonorità, talvolta mancava di slancio e talune dinamiche erano appiattite. Molto buona la prova del Coro del Teatro Regio diretto da martino Faggiani

Molto volenteroso il cast, il quale nel complesso ha fornito prova professionale. Vittoria Yeo, la protagonista, ha una bellissima voce ed è molto musicale, ma la sua interpretazione mancava di colore e accenti che un ruolo come Giovanna richiederebbe a priori quale eroina, nel complesso, pur non cadendo mai in errori, la sua esibizione era piatta e senza emozioni.

Luciano Ganci, Carlo VII, possiede doti naturali non comuni e ha offerto una prova positiva per ricchezza di colore e incisività nel fraseggio. La sortita non era particolarmente felice nel settore acuto, ma nel corso della recita le cose sono andate in crescendo e possiamo considerare la sua esibizione più che positiva. Altrettanto si può affermare per Vittorio Vitelli, Giacomo, che ho sentito dopo anni in un'esecuzione molto precisa e di efficace temperamento, anche se in taluni punti qualche suono era nasale, nel complesso abbiamo un baritono ben preparato e di bella voce. Molto bravo Luciano Leoni, Talbot, che mi auguro di sentire in ruoli più impegnativi, e molto apprezzabile anche la prova di Gabriele Mangione, Delil.

Devo rilevare che taluni personaggi non sono apparsi del tutto pertinenti teatralmente ma questo era dovuto senza dubbio a una lettura registica piuttosto ambigua.

Teatro affollato in ogni ordine, con cospicua presenza straniera, ma molto gelido nei confronti degli esecutori, le arie, i duetti e gli assiemi passavano in assoluto silenzio. Comunque al termine è stato loro tributato un intenso applauso.

Lukas Franceschini

25/10/2016

Le foto del servizio sono di Roberto Ricci – Verdi Festival.