RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

A Gaetano vien bene una messa

A completamento del Donizetti Opera Festival 2019, che ha visto l'allestimento dell'Ange de Nisida, della Lucrezia Borgia e di Pietro il Grande, kzar delle Russie, risulta interessante l'esplorazione della produzione non operistica del Bergamasco (cui viene comunque dedicata ad ogni Festival una piccola rassegna concertistica nelle dimore storiche della città). Quest'anno, per festeggiare il duecentoventiduesimo compleanno di Gaetano Donizetti, il 29/11/2019, si è pensato di allestire, nella chiesa che oggi accoglie i suoi resti mortali, la Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo, un suo lavoro di rara, rarissima esecuzione: la Messa di Gloria, per soli, coro e orchestra. O meglio, la Messa di Gloria e Credo, per la precisione, come recita la copertina del manoscritto. La differenza è che «[..] per Messa di Gloria si intendeva una messa in cui non veniva musicato tutto l'Ordinarium, ma solo le due prime sezioni, il Kyrie e il Gloria, alle quali poteva eventualmente essere aggiunto il Credo» (dal programma di sala a cura di Livio Aragona). La composizione viene eseguita per la prima volta, con tutta probabilità, il 28 novembre 1837 nella Chiesa di Santa Maria Nova di Napoli.

Sono, quelli, gli anni di fervente, febbrile attività di un operista lanciato in piena carriera. E, con una Pia de' Tolomei varata a febbraio (poi rivista in luglio) e un Roberto Devereux presentato a ottobre – passando in settembre per l'ampliamento a due atti di quel gioiellino dell'anno prima che è la Betly – , il 1837 è un'annata di tutto rispetto, per Gaetano, benché funestata dalla perdita della terza figlia e della moglie in luglio. Ma, tra un'opera e l'altra, tra i vari impegni del Teatro San Carlo, di cui è direttore artistico, il nostro riesce a sfornare anche due lavori “minori” di musica sacra (ma su che cosa si basa la divisione in maggiori e minori? Sulla notorietà? Sulla sua circolazione?): un Requiem, ad esempio, forse anche per sfogare e incanalare il dolore dei lutti recenti, presentato in prima assoluta ai primi di novembre (non quello scritto per Bellini: un altro); e questa Messa di Gloria. Per questo lavoro, visto il sovraccarico di commissioni del periodo (non ultima quella arrivata grazie al successo della Pia de' Tolomei, e che sarà la Maria de Rudenz del gennaio 1838), Donizetti rispolvera e riadatta una serie di pezzi giovanili, ampliandone la strumentazione e dando loro una veste più solenne, più sacrale, più severa. Tutto il Kyrie e tutto il Gloria sono intessuti e punteggiati da richiami alla musica studiata alla scuola di Johann Simon Mayr: traluce da vari punti della partitura l'influsso di Mozart, di Haydn, financo di un certo Beethoven. Poi, quasi di colpo, nel Credo, composto appositamente per completare la Messa, lo stile cambia, si fa più moderno, più personale, più “operistico” (pur senza giungere alla smaccata teatralità del futuro Requiem verdiano, posteriore di quasi quarant'anni): basti ascoltare il Crucifixus, drammatico, coinvolgente, aderente al testo, o il Resurrexit; basti vedere l'Et in Spiritum Sanctum, e giù fino al finale, esaltante e sempre più grandioso.

Affidata alla bacchetta di Corrado Rovaris, la Messa di Gloria e Credo di Donizetti torna a risuonare per le volte per la Basilica di Santa Maria Maggiore, si diceva, la sera del 29 novembre 2019. A brillare, oltre all'Orchestra Donizetti Opera, sono Giulio Pelligra, tenore di buon squillo e voce penetrante; Roberto De Candia, che, svestiti i panni dello zar Pietro il Grande dell'opera omonima, riesce ad essere convincente anche in ambito sacro con la sua voce calda, solida, pastosa; e Serena Farnocchia, soprano lirico, potente, pieno e vibrante, che dimostra le sue capacità nei due a solo del Laudamus te e del Qui sedes. Meno valutabile, anche per l'assenza di passaggi solistici, il mezzosoprano Varduhi Abrahamyan, le cui qualità si è avuto modo di apprezzare nel ruolo di Maffio Orsini della Lucrezia Borgia eseguita al Festival.

Il Coro Donizetti Opera, ben istruito da Fabio Tartari, al quale va il merito di formare un insieme di voci omogeneo e compatto, dà vita a una magnifica, intensa interpretazione, che sa rendere giustizia a questo capolavoro ingiustamente negletto.

Christian Speranza

16/12/2019