RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La musica di Fellini e le suggestioni d'Oriente

Enrico Pieranunzi

Roccella Jazz

La chiama la musica “di” Fellini, Enrico Pieranunzi che da lustri è gloriosa, raffinata certezza del jazz: pianista, compositore, arrangiatore, “pensatore” di musica tout court e non aggiungeremo “italiano”. Il suo respiro è internazionale e musicalmente “poliglotta” non solo perché da trent'anni almeno è di stanza negli Stati Uniti ed ha dialogato artisticamente con personalità del jazz di cui a nessuno passerebbe per la mente di fornire anche le generalità geografiche. Outstanding, worldwide famous e tanto basta: in effetti fa bene la wikipedia anglofona a descriverne l'autorevolezza sic et simpliciter scontornandone però il perimetro d'azione.

Dunque la musica “di” e non “per” Fellini, come se fosse stato lui, il regista de La strada (come del resto sarà stato) a guidare la mano del compositore (un procedimento non del tutto estraneo al “fenomeno” Sergio Leone con il sodale di sempre, il maestro Ennio Morricone) fino ad intestarsi anche la musica dei suoi film.

Perciò Pieranunzi raccoglie il testimone direttamente da Federico Fellini (seppur passando per il geniale pentagramma di Nino Rota) riprendendo opportunamente, a vent'anni dalla scomparsa del regista, una sua brillante, festeggiatissima produzione discografica (a proposito, Pieranunzi vanta oltre 70 incisioni) che oggi esce nella doppia veste di cd e vinile: Fellinijazz con cui ha intrattenuto anche il pubblico di Roccella Jazz Festival 2013.

Non da solo, s'intende, al suo fianco c'erano Mauro Beggio (batteria) e Luca Bulgarelli (contrabasso) ma francamente fai fatica a pensare che si tratti solo di un trio tanto il suono è pieno, opulento, articolato, orchestrale.

Come orchestrale è la mentalità di Enrico Pieranunzi e non solo in termini di confezione del suono (dunque arrangiamento, concertazione, interpretazione) ma anche sul piano dell'apertura spazio-temporale, di una sorta di ecumenismo intellettuale e culturale e, last but not least, della pluralità del suono. Una dimensione certamente insolita per uno “strumentista” anche se, nel suo caso, per nulla al mondo rinunceremmo al suo blasonato, appassionato côtè pianistico.

Ma se il pensiero “orchestrale” lo salva dal primadonnismo (dannatamente imperante tra i sacerdoti della tastiera in bianco e nero) non gli impedisce di risultare garbato, ironico, misuratissimo entertainer.

E Fellinijazz è sicuramente valorizzato da chiose, notizie, curiosità che si fanno necessarie.

Il tema di Le notti di Cabiria per cominciare (officiava Rota, naturalmente) e, prima ancora, il bidone del Bidone , se è stato un flop all'epoca, si rivela vincente nell'antologia di Pieranunzi che ne scorpora due temi: molto mosso il primo, in odore di Satin doll il secondo.

Dunque richiami a Duke Ellington, citazioni volute e dichiarate al tango (nella Città delle donne musicato da Luis Bacalov poiché il 1979 era già annus horribilis per la salute di Nino Rota) ma con Pieranunzi non vi è alcuna urgenza del “nuovo” a tutti i costi. Del resto, c'è forse bisogno o nostalgia di “nuovo” nella Quinta Sinfonia di Beethoven diretta da Abbado? Il genio del compositore ed il talento creativo degli interpreti bastano a “rinnovare” l'opera d'arte.

Vero è che il genio ha spesso bisogno della musa ma può essere talvolta musa egli stesso: sono due i pezzi ispirati a Fellini e scritti da Enrico Pieranunzi, nel 2003: uno di loro si è mutato in canzone, Fellini's waltz .

Impossibile fare a meno dei cult ed ecco La dolce vita (a tal proposito il Pieranunzi “presentatore” suggerisce, a buon diritto, l'accostamento Nino Rota/Kurt Weill: contagiati dall'espressionismo entrambi ed entrambi ottime menti accademiche) ovvero due brani in uno, in cui il leit motiv sembra in odore di boogie per convertirsi poi in minaccioso valzer con una chiusa quasi alla Gershwin. Ma il cult dei cult felliniani non si fa attendere: il bis dispensa infatti il tema struggente e insuperato de La strada in cui il canto della tromba nell'originale è qui affidato alla voix humaine del violoncello.

Trilok Gurtu

Non è una nota a margine piuttosto l'elogio di quel salvifico meticciato che spesso solo il jazz è capace di ricreare e conservare.

Parliamo della Trilok Gurtu Band ovvero quattro magnifici, talentuosissimi “sciagurati” ben governati dall'indiano Trilok Gurtu (complice sua madre Shobha, celeberrima cantante indiana, che lo iniziò allo studio delle tabla), percussionista, batterista, musicista che ha animato uno dei concerti al Teatro Castello.

La band è in sedicesimo un mappamondo di sensibilità ed eredità culturali: al contrabasso, una combinazione di Spagna e Germania, Jonathan Ihlenfeld Cuniado, il turco di Instanbul Tulug Tirpan a piano e tastiere e da Colonia e con tanto di calzoni alla bavarese, Matthias Schriefl che, all'occorrenza, ammicca in un italiano colpevole: “Io, tromba. Trombare” (e il suo “direttore” che esibisce invece un italiano più che accettabile, lo minaccia di segregazione a pane e acqua…).

E Mr. Bollywood suona il jazz.

Se la diversità è ricchezza, in Trilok Gurtu è porta d'accesso per l'oriente e per l'occidente grazie alla contaminazione delle tecniche percussive ed all'uso della tabla , il tamburo indiano il cui impasto di riso rende possibili sonorità pregiatissime che non fanno fatica a riunirsi sotto il tetto comune della world music .

Prima, un rituale preparato con un canto a cappella ed una “celebrazione sonora” su un catino colmo d'acqua; poi il volto di Gurtu si contrae e si fa più scuro sotto alla chioma argentea e gli occhi quasi cambiano disegno.

Ma the best has yet to come, diceva qualcuno. Alla fine, infatti, Trilok Gurtu ripropone al pubblico uno scampolo della grande lezione indiana delle percussioni secondo cui le strutture ritmiche vengono insegnate oralmente, sollecitando l'allievo ad imitare i vari suoni ottenuti con le tabla .

E allora, tra insegnante e gli “allievi” del Teatro Castello è un tripudio di dha, dhin, ta, tin, ti. Il “maestro” promuove tutti.

 

Carmelita Celi

23/8/2013

Le foto del servizio sono di Domenico Scali e di Pino Passarelli.