RECENSIONI
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Mutato nomine de te fabula narratur

La resistibile ascesa di Arturo Ui

Provoca sempre un senso di sgomento la coincidenza del passato con il presente; la si è chiamata déjà vu, ma è da ritenere che coinvolga non solo la vista, ma anche e soprattutto la mente, e che talvolta, in situazioni estreme, possa destare un indicibile orrore. Orrore sì, perché è davvero orrendo assistere ad una satira del nazismo sentendosi nuovamente addosso delle belve feroci, riemerse dagli antri ctonii di un passato che si credeva ormai definitivamente sepolto, pur se avrebbe dovuto rimanere perenne nella memoria dei posteri, memento di un lungo sonno della ragione generatore di mostri sanguinari.

Eppure è proprio questa la sensazione provata assistendo alla stupenda messa in scena de La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht, in programmazione al Verga di Catania. Un allestimento da manuale, nella rutilante ed efficace regia di Claudio Longhi e nella nuova traduzione, fluida ed elegante, di Mario Carpitella, che ha visto protagonista un Umberto Orsini ormai all'apice di un talento attoriale che l'età e l'esperienza hanno affinato sino alla maestria. Vero virtuoso, ha dato scenicamente vita al lento crescere della personalità di Arturo/Hitler dalla dimessa boria del gangster di provincia sino all'ipocrita, controllata e lucidissima ferocia del dittatore in grado di generare il terrore per dar vita ad un potere che trova la sua base nell'esigenza incontrollata di tranquillità dei potenziali sudditi.

E proprio qui sta l'orrore che chi scrive ha provato: innanzitutto perché i brogli impiantati da Brecht per far sì che Arturo ascenda al potere (in maniera resistibile, il che significa che lo si sarebbe potuto evitare…) sembrano scritti non ieri, ma stamattina, e sono più o meno gli stessi della nostra attuale Italia (corruzione, concussione, politici conniventi con poteri più o meno oscuri, strategia del terrore et similia), e poi perché il lento, inesorabile cammino che da Weimar condusse al Terzo Reich, o dallo scandalo della Banca Romana al ventennio, di cui la parabola di Arturo è metafora, si basò su una paura artatamente generata che gettò letteralmente due popoli nelle braccia di due abietti individui, i cui crimini ancor oggi gridano vendetta, almeno per chi ha orecchie per udire.

Per udire: ma le abbiamo veramente? Come è possibile accettare senza conati di vomito che un individuo osi affermare che per poter fare le riforme necessarie al nostro paese occorre stravolgere la Costituzione (dando guardacaso pieni poteri al premier!), una costituzione nata dalle macerie della seconda guerra mondiale e pensata proprio per rendere impossibile qualunque involuzione dittatoriale? Questo signore non si comporta proprio come Arturo/Hitler? Cosa sono i suoi moniti contro la sinistra se non un'insinuazione di terrore? Cosa sono le sue promesse di restituire cose (quell'IMU da lui stesso votata nemmeno un anno fa) se non le stesse promesse di Arturo/Hitler, che scatena il crimine solo e soltanto per rendersi necessario restituendo una tranquillità che lui stesso ha tolto?

In quest'ottica, non si può non plaudire alla scelta del Teatro Stabile di Catania, che ha permesso al suo pubblico, purtroppo finora semel in anno, di godere di un testo teatrale validissimo, perché originariamente scritto per il teatro, perchè recitato da attori di prim'ordine e perché denso di moniti che assolvono alla funzione primariamente civile dell'arte.

Prodotto dalla Emilia Romagna Teatro Fondazione e dall'Associazione Teatro Di Roma, La resistibile ascesa di Arturo Ui ha visto agire sulla scena una compagnia di validissimi giovani, non solo attori, ma anche musicisti, che si sono alternati nelle varie parti con estrema professionalità e disinvoltura, degna corona al protagonista.

Se infatti Orsini ha costituito il centro propulsore dell'azione, con una recitazione proteiforme, dove la voce diveniva elemento primario dell'evoluzione del personaggio, Lino Guanciale ha dato prova di una geniale versatilità, sostenendo sia le parti recitate che le canzoni in una perfetta simbiosi che ne fa un artista davvero raro. Ottima la prova di Diana Manea, la cui andatura dinoccolata, talvolta ai limiti del volutamente sgangherato, ha potenziato una mimica eccellente, atta a caratterizzare in maniera perfetta la donnaccia del regime: la sua recitazione imprimeva ai personaggi femminili una sensualità morbosa, malata, quasi oscena, che stigmatizzava senza pietà gli aspetti più ignobili del nazismo (anche qui un déjà vu di prim'ordine, che rimandava a signore che sono così non per virtù attoriale, ma per dono di natura!).

Bravissimi e professionali tutti gli altri, da Simone Francia all'ottima fisarmonicista (autrice anche degli arrangiamenti musicali) Olimpia Greco, da Nicola Bortolotti a Luca Micheletti, da Michele Nani, perfetto caratterista, al poliedrico Ivan Olivieri, per finire con Giorgio Sangati e Antonio Tintis.

Applausi calorosi e a scena aperta hanno mostrato quanto il pubblico catanese gradisca e apprezzi il grande, autentico, vero teatro, e quanto forse si auguri di poter assistere sempre a spettacoli di così alto livello.

Giuliana Cutore

19/2/2013