RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

L'inganno felice

al Teatro Olimpico di Vicenza

La XXVIIª edizione delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico prosegue con il Progetto Rossini che, iniziato nel 2017, si sviluppa mettendo in scena le cinque farse che il pesarese compose per il Teatro San Moisé di Venezia. Il titolo dell'odierna edizione è L'inganno felice. La farsa in un atto, su libretto di Giuseppe Maria Foppa, fu rappresentata l'8 gennaio 1812 con due illustri protagonisti: Teresa Belloc Giorgi e Filippo Galli, i quali segneranno in futuro altri successi sia buffi sia seri di Rossini. Il titolo, pur rientrando nell'ambito dell'opera semiseria, è sempre stato associato alle farse, forse perché coevo dei primi lavori, le farse appunto, andate in scena in breve tempo nello stesso teatro. Infatti, dopo l'iniziale successo, l'opera ebbe poca circolazione e fortuna, sia perché eclissata da altre più celebri opere buffe, sia perché rappresentava un soggetto più drammatico e quasi tragico. Nel secolo scorso, dopo una ripresa nel1973 al Teatro Animosi di Carrara e relativa tournée in alcuni teatri della Toscana, sarà sdoganata nel 1980 al Rossini Opera Festival diretta da Alberto Zedda con la presenza di Sesto Bruscantini ed Enzo Dara in locandina.

Ardua impresa per un regista allestire uno spettacolo al Teatro Olimpico, vincoli e limitazioni imperano, ma Alberto Triola ha saputo realizzare una messa in scena piacevole giocando in perfetto equilibrio tra dramma e farsa, in collaborazione con lo scenografo Giuseppe Cosaro, il quale è anche costumista assieme a Sara Marcucci, e col disegno luci di Giuliano Almerighi. Il regista basa la sua drammaturgia su un ingrediente psicoanalitico poiché l'antefatto della trama offre questa possibilità, e la protagonista femminile si trova nella condizione traumatica del rapporto difficoltoso con il mondo maschile, tanto da isolarsi in se stessa. Idea molto originale e azzeccata poiché la stessa farsa come già detto ha forte tratto drammatico, e la sapienza del regista è stata il giusto mix narrativo. Indicativa è la levità e l'ironia attraverso le quali Triola riesce a costruire una visione ora sorridente ora più amara tenendo sempre presente il filo conduttore rossiniano. Rilevante che l'aggiunta di mimi, dei “doppi dei protagonisti”, non è una forzatura ma una delicata visione che contraddistingue un lavoro registico di alto livello, il quale trova spazio anche durante la sinfonia con un racconto attoriale di chiara comprensione. La scena è ovviamente delimitata da pochi elementi, la botola sul palcoscenico è la miniera, la sedia emblema dello psicologo, la barca del salvataggio. Belli ed eleganti i costumi che s'ispirano sia all'antico sia al moderno. Molto efficace il progetto luci, che inquadra la peculiare drammaturgia in modo differente e con effetti notevolmente teatrali.

L'artefice musicale dell'intero progetto Rossini è Giovanni Battista Rigon, direttore, concertatore e maestro al cembalo. L'innata qualità musicale del direttore è parallela a una visione artistica della manifestazione, la quale nel corso degli anni è cresciuta notevolmente tanto da esser oggi considerata un appuntamento irrinunciabile d'inizio estate. Inoltre, Rossini è un autore che Rigon ama molto, si nota durante l'esecuzione, avendo già proposto altri titoli peculiari del pesarese nelle passate edizioni delle Settimane.

Sul podio dell'Orchestra di Padova e del Veneto, in serata molto brillante e pulita, Rigon si prodiga in una lettura molto scrupolosa e bilanciata nel perfetto equilibrio farsesco che contraddistingue la particolare farsa. Nello specifico si evidenziano tempi serrati e vivaci negli importanti assiemi (duetti, terzetti), tinte più drammatiche negli assoli. L'accompagnamento dei cantanti è esemplare, in taluni casi anche di vero supporto, e l'esecuzione al cembalo ammirevole considerando quanto sono lunghi e importanti i recitativi in questo spartito. La leggerezza dinamica, che potremmo definire il comune denominatore dell'intera produzione, perfettamente azzeccata.

La compagnia di canto era ben assortita, e presentava, come di consueto, alcune novità di forte interesse. La parte del leone la facevano i due bassi-baritoni Sergio Foresti e Daniele Caputo, rispettivamente Batone e Tarabotto. Foresti che abbiamo apprezzato per anni nel repertorio barocco, credo canti il suo primo Rossini, ed è un approccio felice per stile e carattere, vocalmente preciso ed elegante. Caputo possiede di suo una vis teatrale d'indiscusso valore, e non scade mai nella banale macchietta ma si colloca nel raffinato gesto e sguardo teatrale. L'accento e l'uso del colore permettono al giovane cantante di esprimere un canto forbito e di grande eleganza, perfettamente calibrato nei registri e di ammirevole scioltezza.

La protagonista femminile Isabella era interpretata da Eleonora Bellocci, un giovane soprano con buone caratteristiche tra le quali si ammirano fraseggio e buon uso dei fiati, e uno spiccato accento, tuttavia è il registro acuto che deve essere migliorato perché spesso forzato e non del tutto calibrato. Considerata la giovane età avrà tempo e occasione. Patrick Kabongo era Bertrando, un giovane tenore che può vantare solo un buon colore, ma è carente sia nel gusto sia nell'uniformità vocale dei registri soprattutto in acuto. Buona la prova di Lorenzo Grante, Ormondo, preciso e puntuale, che speriamo di ascoltare in qualche ruolo più impegnativo.

Il teatro era esaurito in ogni ordine di posto, con la presenza di molti giovani, e al temine trionfale successo per tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

12/6/2018

Le foto del servizio sono di Alessandro Dalla Pozza.