RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

La città invisibile

Sono passati tantissimi anni, quarantaquattro, dall'ultima ripresa dell'una volta qui amatissima La città invisibile di Kitej, penultima fatica lirica di Rimski-Korsakov, e ultima che l'autore riuscì a vedere su un palcoscenico. Non penso che la si torni a vedere con la stessa frequenza di allora (dieci stagioni ininiterrotte dal 1926 e tre altre posteriori) e comunque non sarà molto presto. Si tratta, tanto per incominciare, di uno spettacolo costoso (benché in coproduzione con Milano, Amsterdam e Parigi) che richiede un'enorme compagine corale e orchestrale; poi, come si sa, il Liceu di oggi non è molto disposto a investire su produzioni non sostenibili e così i nuovi ‘criteri' – in attesa di un nuovo direttore artístico che si fa desiderare – non consentono di essere ottimisti. Non solo, ma ecco un'altra prova –s e ce n'era bisogno – della non troppa ‘teatralità' di Rimski, capace di musiche meravigliose e di orchestrazioni portentose – quelle campane che ha fatto sentire nella ‘sua' versione del Boris di Mussorgski: l'atto primo e il quarto e ultimo si fanno lunghi, questo ancora più del primo con i suoi elementi ‘mistici' alquanto desueti. Secondo e terzo invece sono molto interessanti grazie all'azione e ai cori; la prima scena del terzo è un ottimo esempio di dramma che non vuol dire solo ‘azione'.

La versione, con qualche riserva per la compagnia di canto, è stata eccezionale. E vada per primo un enorme ‘bravo' per il lavoro di José Luis Basso e il coro (rinforzato dalla corale Intermezzo) del Teatro: il maestro non poteva dare meglio gli addii al Teatro, anche se manca una Suor Angelica, prima di partire per Parigi dal mese di luglio prossimo. Anche il maestro, nonché direttore musicale del Liceu, Josep Pons dimostrava la bontà delle sue fatiche con l'orchestra del Teatro proprio in momento poco propizio con un titolo raro e difficile come questo. La regìa di Dimitri Tcherniakov sembra meno ‘sovversiva' che altre del direttore ruso, ed è sempre piena di idee e movimenti che ‘salvano' i momenti più statici; non ci si annoia mai. Nelle sue mani, quest'opera diventa un mito che si pone non agli inizi o prima dell'inizio del mondo o nel Medioevo ‘storico' ma proprio alla fine, poco lieta, della vicenda degli uomini (vedi le didascalie del primo e secondo atto); la direzione di attori, ed è difficile perchè quasi nessuno è un vero e proprio ‘personaggio', è come al solito esemplare.

I cantanti sono stati scelti sicuramente in funzione della loro dimestichezza con la produzione, visto che precedentemente era stata presentata ad Amsterdam e buona parte della compagnia è la stessa; sono certo in grado di portare a termine la serata, anche dal punto di vista vocale, ma forse non tutti sono ideali per le loro parti. Le migliori in campo sono state le voci gravi, in particolare quelle dei veterani Eric Halfvarson,nuovo elemento per il principe Juri, e Gennadi Bezzubenkov, suonatore di ‘gusla', ma anche quelle di Vladimir Ognovenko, dal volume meno impressionante ma con un canto di grande eleganza, e di Alexander Tsymbaliuk, più grande ma di acutí alquanto fissi e di emissione più brutale, qui parzialmente autorizzata dal ruolo – entrambi erano i capi dei tartari. Buona anche, ma con degli acutí pericolosamente aperti, la prova del baritono Dimitris Tiliakos, nel ruolo di Fjodor, l'amico del giovane príncipe. La protagonista di Svetlana Ignatovich –una parte di una difficoltà incredibile – era complessivamente molto soddisfacente ma il registro acuto poche volte era sotto controllo; il momento migliore è stato il suo lamento dell'atto terzo. Il traditore pentito e sempre ubriaco Grixka di Dmitry Golovnin, senz'altro efficace, sembrava qui una parte da tenore caratterista anziché – come credo – di uno spinto o addirittura drammatico. Molto interessanti i mezzi di Maxim Aksenov, il giovane príncipe, ma con un'emissione discontinua. Le parti ‘episodiche' venivano interpretate e cantate con ottimo livello, in particolare le voci gravi femminili: l'uccello della morte (Margarita Nekrasova) e il paggio del principe, una Maria Gortsevskaya da seguire ma con un acuto non sempre saldo. Poco felice invece il soprano leggero Larisa Yudina (l'uccello della gioia) di acuti strazianti.

Le scene dello stesso Tcherniakov meritavano un applauso del pubblico, fatto a Barcellona finora rarissimo, all'alzarsi del sipario negli atti primo e quarto. Eccellenti le luci di Gleb Filshtinsky, mentre invece i costumi di –ancora – Tcherniakov e di Elena Zaitseva mostravano degli alti e bassi. Pubblico numeroso e in festa.

Jorge Binaghi

8/5/2014

La foto del servizio è di Antonio Bofill.