RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Jenufa al Comunale di Bologna

Una delle migliori produzioni della stagione operistica nazionale è stata Jenufa di Leóš Janácek presentata al Teatro Comunale di Bologna nella produzione, in prima italiana curata dal regista lettone Alvis Hermanis.

L'opera rappresenta uno dei vertici teatrali musicali non solo del compositore ceco ma di tutto il Novecento. La vicenda è tratta dal dramma La sua figliastra di Gabriela Preissová ed ebbe il suo battesimo al Teatro Nazionale di Brno il 21 gennaio 1904. Janácek cominciò ad interessarsi al soggetto sin dal 1893 informando l'autrice via lettera della sua intenzione di musicare il dramma. La scrittrice tentò invano di persuaderlo dell'impossibilità di trarre un'opera lirica da questo suo testo, tuttavia Janacek si immerse nella riduzione del libretto dal 1895. L'adattamento fu singolarmente fedele, suddiviso in tre atti, la vicenda narrata nello stesso ordine, testo originale rispettato, inclusione di tutti i personaggi anche i minori. La versione librettistica de La sua figliastra rappresentò un'originalità nel panorama musicale ceco: fu la prima opera lirica tratta da un dramma teatrale. Elemento musicale primario della partitura è la canzone popolare (arrangiata), è la sfera campagnola della vicenda che portò il compositore all'invenzione musicale d'estrazione popolare. Jenufa è la narrazione di un destino, vissuto fra risentimento, orgoglio, incomprensione, buoni sentimenti, perdono e redenzione. È la storia di un'elevazione spirituale vissuta attraverso le traversie della vita e nella disgrazia. Pur contenendo una buona dose di verismo, l'opera si avvicina più alla filosofia morale della cultura slava, infatti, su un soggetto di gelosia, amore, infanticidio, Janácek non si fa prendere la mano dalla cruda passione ma analizza l'animo di un popolo, il suo, nel quale trova anche una ricchezza umana oltre alla complessa psicologia. In Jenufa la tinta popolare, i costumi, la tradizione, le icone, i canti popolari possono ad un'analisi superficiale fuorviare dal dramma reale insito nella musica; l'elemento folkloristico è solo una cornice appariscente ed istintiva mentre il fulcro è caratterizzato dalla peculiarità emotiva dei protagonisti.

Seguendo alla perfezione questi concetti il regista e scenografo Alvis Hermans realizza uno spettacolo singolare di estrema enfasi teatrale sviluppando una drammaturgia che guarda ai molteplici aspetti dell'opera. Egli segue un doppio binario azzeccatissimo inquadrando il I e il III atto nella classica ambientazione contadina popolare della campagna, in una scena, esteticamente lineare, divisa in due verticalmente: sotto agiscono i personaggi in cromatici e fantasiosi costumi folkloristici, ideati da Anna Watkins, sopra il coro come a sovrastare gli eventi. In una sorta di siparietto agiscono delle ballerine, le quali mimano un'atmosfera tipicamente locale con ispirazione ad una sorta di danza russa creata dalla brava Alla Sigalova. In questo sviluppo che è il momento più “tipico”, si vedono proiettati anche ritratti di donne in stile liberty. Il secondo atto è da mozzafiato per espressione drammatica. In una stanza di dimensioni ridotte, claustrofobica, tipica di un mondo proletario da est Europa in guerra fredda, si consuma la tragedia dell'infanticidio. Un letto di ferro smaltato, un televisore anni '70 in bianco e nero, un lavandino lercio, imprimono in maniera efficace quel sottostrato di società povera e legata a regole e credenze rurali per le quali il peccato deve essere lavato o cancellato, l'omicidio del piccolo neonato può rendere dignità e rispetto alla protagonista. La recitazione degli artisti, in questo caso le due protagoniste Jenufa e Kostelnicka, è impressionante. Non saprei trovare parole per descrivere l'impatto emotivo del delirio della giovane e della realistica decisione della matrigna. Le due visioni, una quasi onirica, ma con sprazzi di realtà rurale, l'altra realistica e purtroppo anche attuale, sono la forza di uno spettacolo quasi ricreato in sorta di dramma e favola finale moderna.

La bravissima Orchestra e il preciso Coro, istruito da Andra Faidutti, del Teatro Comunale sono diretti da un ispiratissimo Juraj Valcuha, direttore stabile d'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. La sua lettura è particolarmente struggente e decisa con tinte forti e violente nel dramma ma altrettanto sensibile e raffinata nei momenti più lirici, in particolare nello struggente e speranzoso finale.

Andrea Dankova interpreta una Jenufa di ottima caratura vocale, adoperandosi con un'intensa vocalità nel lirismo e tensione nella disperazione di madre. Mirabile e dirompente scenicamente Angeles Blancas Gulìn, una Kostelnicka vissuta appieno sia nel canto sia nell'interpretazione. Musicale e di grande professionalità il Laca di Brenden Gunnell, cui si contrappone il preciso ma più scialbo Števa di Ales Briscein. Meritano un plauso anche gli altri interpreti, i quali hanno dato un apporto più che convincente alla resa dell'opera: Gabriella Sborgi incisiva Buryiovka nonna, Maurizio Leoni il mugnaio, Luca Gallo il sindaco, Monica Minarelli sua moglie, e Leigh-Ann Allen la giovane Karolka. Completavano la locandina: Arianna Rinaldi (Pastuchyna), Roberta Pozzer (cameriera), Sandra Pastrana (Jano) e Grazia Paolella (Tetka).

Il pubblico, che era particolarmente impressionato sia dalla deliziosa musica sia dal meraviglioso spettacolo, al termine si è sciolto in un meritato trionfo per tutti gli artefici della produzione.

Lukas Franceschini

24/4/2015

Le foto del servizio sono di Rocco Casalucci.