RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

La Bohème

al Comunale di Bologna

La Stagione d'Opera 2018, denominata “ON”, del Teatro Comunale di Bologna è stata inaugurata con La Bohème di Giacomo Puccini. Sul podio il direttore musicale Michele Mariotti, nuova produzione ideata da Graham Vick. C'era molta attesa per questo nuovo spettacolo di Vick, il quale sappiamo, raramente è tradizionale, per come avrebbe ideato questo titolo celeberrimo in una nuova e diversa drammaturgia. Il risultato è stato eccezionale, con soluzioni di forte emotività teatrale che mai ci saremmo aspettati.

L'ambientazione è moderna ma non definita, i quattro giovani sono vestiti con jeans e felpe come i ragazzi ventenni, i mobili, pochi e poveri, sono vintage anni ‘70/80 per segnare le scarse possibilità economiche. La funzionale scena di Richard Hudson, autore anche dei costumi, è sviluppata per quattro quadri racchiusi in poco spazio fin sul proscenio, come se la vicenda dovesse entrare nel pubblico, il quale forse rivede qualcosa della sua gioventù. Parigi non è contestualizzata, ma l'opera potrebbe essere rappresentata ovunque e in qualsiasi epoca. Quello che ha reso questa produzione davvero emozionante sono stati i dettagli e l'interpretazione scenica. Quest'ultima realizzata al massimo poiché il regista aveva a disposizione una valida compagnia giovane e molto disponibile. L'elemento che primeggia è la mancanza di valori e un diffuso disagio sociale, forse anche culturale, che è denominatore della vita dei giovani sei ragazzi. Non sanno assumersi prospettive di vita, responsabilità sociali, tutto è lecito in un'esistenza individualistica, probabilmente egoista. La spontaneità dei loro comportamenti è proprio moderna, memorabile la scena del primo incontro tra Mimì e Rodolfo, nel quale lui la trascina su un letto-brandina pieghevole per “consumare subito”, lei ammicca ma non ci sta, in un duetto di passione maliziosa, raggiungeranno gli amici… ma più tardi, perché no! I primi due atti scorrono all'insegna della commedia leggera, spensierata, e il secondo quadro è un dipinto di conversazione teatrale bellissimo, oltre ai cantanti, tutti i presenti sulla scena hanno un ruolo individuale che si conforma alla grande scena del Quartiere Latino. Sarà nei successivi atti che la tragedia prende una forma concreta. Il terzo, la Barriera d'Enfer, è un luogo desolato e degradato, forse posto ai margini di una stazione, nella quale prostituzione femminile e maschile trova spazio oltre a spacciatori di droga e polizia corrotta. È ai margini della società che si sviluppa la decadenza di persone senza ideali, e i nostri protagonisti sono tra questi. Il ritorno nell'ultimo atto nella casa del primo è impressionante, l'appartamento già disadorno e con mobili vecchi è ora spoglio, un vuoto che identifica anche quello interiore. Quando entra Mimì, ormai alla fine, è adagiata su un materasso di fortuna, al suo fianco le sue scarpe rosse, volutamente cromatiche. Gli amici in attesa del dottore tentano di recuperare una “dose” per alleviare gli ultimi istanti. Rodolfo la abbraccia steso sul suo fianco e la sua testa poi fa capolino sulla sua spalla. Sconvolto dall'amara realtà Rodolfo scappa via disperato e anche gli altri, dopo aver coperto Mimì con un lenzuolo bianco, escono dalla stanza. Il corpo della povera ragazza resta solo nella stanza sulle ultime note dell'opera. Un finale raccapricciante ed emotivamente forte, che non lascia indifferente tutto il pubblico.

Michele Mariotti al suo debutto nel titolo offre una direzione di alto livello. Trasparente ed espressivo il gesto, non indugia troppo sul sentimentalismo, piuttosto segue un ritmo narrativo ora leggero (atto II) ora più drammatico (atto III e finale) sfoderando un'abilità efficace nella ricerca dei colori e delle pause. Talvolta avremmo preferito avesse indugiato in qualche ampiezza e slancio, ma è opinione personale. La sua lettura è sicuramente di valore, più attento al dramma senza essere troppo patetico ma narrativo. Peculiari sono i dettagli, sia nel canto di conversazione dei singoli, sia negli interventi del coro. Merita peculiare menzione l'accompagnamento di “O Mimì, tu più non torni”, elegiaco! Una gran bella prova, Puccini sarebbe un autore che speriamo il M.o Mariotti intenda approfondire e ampliare. Il positivo risultato finale è stato possibile anche per l'apporto dell'Orchestra del Teatro Comunale, in splendida forma e di grande compattezza di suono, cui va sommata la perfetta prova del Coro, istruito da Andrea Faidutti, e il Coro di Voci Bianche, puntuale e preciso, diretto da Alhambra Superchi.

Il cast si distingueva per un'omogeneità generale e una giovinezza interpretativa, di cantanti e allo stesso tempo attori, che seguivano in maniera esemplare l'idea registica. Mariangela Sicilia interpreta con spontaneità il ruolo di Mimi, attraverso un canto morbido e sfumato, anche se in taluni momenti lo spessore vocale non era sufficiente e certi tipici abbandoni erano trattenuti. Il Rodolfo di Francesco Demuro si mette in luce per una baldanza giovanile ammirevole, possiede una voce bella, la dizione è scandita, i colori appropriati, eppure per essere completo nel ruolo manca di quello spessore lirico che il ruolo richiede, e che non ha di natura. Ripara a questa mancanza con mezzevoci molto azzeccate e un fraseggio molto eloquente.

Nicola Alaimo traccia un Marcello ragguardevole per presenza scenica ma soprattutto per una voce di grande espressione e un forbito uso della scansione vocale. Un po' troppo leggera e poco variegata nel canto, anche stridula, la Musetta di Hasmik Torsyan, mentre s'impone il Colline di Evgeny Stavinsky per un canto rifinito attraverso una voce bellissima, morbida, e ben amministrata, trovando un rilevante momento nell'aria del IV atto. Non meno ragguardevole lo Schaunard di Andrea Vincenzo Bonsignore, ottima voce ben amministrata sia nell'accento sia nell'espressione. Un cammeo di lusso la presenza di Bruno Lazzaretti nel doppio ruolo di Benoit e Alcindoro. Completavano il cast i funzionali Guang Hu (Parpignol), Raffaele Costantini (doganiere), Martino Fullone (venditore).

Successo trionfale al termine, e chi scrive aggiunge: ben meritato!

Lukas Franceschini

27/1/2018

Le foto del servizio sono di Rocco Casaluci-Teatro Comunale di Bologna.