RECENSIONI
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Barcellona

Serate Schubert al Palau de la Musica

In tre serate il baritono Matthias Goerne e il pianista Leif Ove Andsnes ci offrivano la loro visione dei tre celebri cicli di Schubert. Questa recensione si riferisce alle prime due dove si presentavano Die schöne Müllerin e Die Winterreise, entrambi su poesie di Wilhelm Müller che, come il compositore, esattamente suo contemporaneo, è mancato anch'esso molto giovine. Per ragioni personali non mi è stato possibile assistere alla terza e ultima, con l'esecuzione del postumo Schwanengesang, e mi rincresce assai.

Come si sa, si tratta di capolavori del Lied tedesco e gli interpreti sono di chiara fama. Devo dire subito che il pianista non è stato mai il mio ideale per accompagnare Lieder, forse perchè la sua carriera è soprattutto da solista e come accompagnatore non parla sempre lo stesso linguaggio del cantante. Quando la fusione c'è il risultato è magico. Quando non c'è si mette in rilievo un piano alquanto enfatico, in qualche momento direi invadente. Naturalmente non si discute la tecnica ma più di una volta sembrava di sentire Beethoven.

Goerne da canto suo evidenziava una profonda evoluzione. Infatti l'avevo sentito interpretare entrambi i cicli anni fa ad Amsterdam e a Bruxelles. Mi era parso strano il suo approccio alla Müllerin e molto buono quello per la Winterreise. Si tratta di un artista di riferimento in questo campo e l'evoluzione non è solo nell'aspetto interpretativo ma anche nella stessa voce. Il baritono ha adesso un centro e un grave di una consistenza e volume enormi, di un colore magnifico; l'acuto è rimasto tale e quale ma anche in quel registro si nota più colore. Le mezzevoci che non erano allora – per me – ineccepibili non l'hanno trovato del tutto a suo agio durante la prima metà della Müllerin per poi mettersi a posto. Se nella Müllerin c'è ancora qualcosa da ridire (un tempo troppo lento in Wohin? o un Ungeduld alquanto sbrigativo) l'insieme è stato bellissimo con l'ultimo numero (Das Bachen Wiegenlied) da brivido.

Die Winterreise è stata un'esperienza unica. I numeri che erano forse un po' troppo energici o addirittura violenti potevano legittimamente interpretarsi in questo modo e, se qualche volta l'esasperazione del canto sembrava troppa, nell'ottica di un'interpretazione quanto mai disperata come questa risultava pienamente giustificata. Si trattava di una freccia tesa – con qualche piccolo respiro – dal primo numero (Gute Nacht) all'ultimo, l'incredibile Der Leiermann, così ‘semplice' – non ‘facile' – e così spoglio da imporre alla fine un silenzio lungo del pubblico assolutamente naturale tanta era l'emozione che si respirava in sala. Personalmente devo dire che per la prima volta una voce in quanto tale mi faceva ricordare in due o tre momenti quella del mio primo interprete dal vivo, l'indimenticabile Hans Hotter che faceva però un'interpretazione diversa.

Come detto, il pubblico – folto per una serata da camera in una sala così vasta – seguiva con estrema partecipazione e gli applausi, quando finalmente arrivavano, suonavano più che entusiasmo o ammirazione vera e pura emozione e quindi erano una vera forma di ringraziamento. Uscire da un concerto – come ho visto in tanti, compreso il sottoscritto – con gli occhi lucidi o un nodo in gola non è da tutti i giorni.

Jorge Binaghi

7/3/2019

La foto del servizio è di Antonio Bofill.