RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Lucia ad Amsterdam

 

In Olanda, in quasi quarant'anni, di Donizetti ne ho visto e ascoltato tanto, anche quello più raro, da Belisario a Maria de Rudenz, da Le convenienze e inconvenienze teatrali a Caterina Cornaro, ma questa Lucia amstelodamense è la prima nel paese di re Guglielmo IV Alessandro. È pure la mia ventunesima. Della prima fui, guarda caso, spettatore al Teatro Bellini di Catania la bellezza di mezzo secolo fa! E la ricordo ancora quella Lucia numero uno del lungo catalogo “leporelliano”, rappresentata in una domenica di aprile, primaverile come i miei verdi anni. All'epoca era quasi impensabile eseguirla senza i tagli tradizionali, tantomeno con la glassharmonica al posto del flauto nella scena della pazzia. Si trattò comunque di un'edizione rispettabile, diretta da Umberto Cattini e con Elvina Ramella, Luciano Saldari, Enzo Sordello, Lorenzo Gaetani e Beniamino Prior.

Mentre la Renaissance donizettiana proseguiva con esiti significativi - quella primavera del 1964 vide risorgere a Napoli lo stupefacente Roberto Devereux - vi era ancora chi considerava Donizetti una sorta di gregario della triade Rossini-Bellini-Verdi, uno che, dopo aver sfornato a getto continuo melodrammi su melodrammi, aveva, per caso o per miracolo, imbroccato alcune volte il capolavoro. Si doveva riconoscere che tali erano in ogni caso gli intramontabili Elisir d'amore, Lucia e Don Pasquale, senza però avere una chiara visione del perché fossero capolavori. Ildebrando Pizzetti concedeva con “magnanima” sufficienza che una serie di pagine della Lucia erano certo maiuscole, ma il brav'uomo non aveva capito un accidente di quest'opera, la stessa che farà invece dire a Fedele d'Amico: «Forse nessun'opera ci additò così direttamente il cielo come il capolavoro di Gaetano Donizetti».

La regista olandese Monique Wagemakers ha ripreso la sua Lucia, realizzata nel 2007 per la stessa Nederlandse Opera, coerente nel suo discutibile approccio. L'azione è senza precisi riferimenti d'epoca. Vasta e spoglia, quanto opprimente e sinistra, è la scena unica ideata da Frank Philipp Schlössmann, opportunamente immersa nelle livide e lugubri luci grigiobluastre di Reinier Tweebeeke, che contribuiscono a creare un'atmosfera claustrofobica. I costumi di Rien Bekkers sono approssimativamente moderni e la sola attinenza con la Scozia di Walter Scott e Donizetti si desume dai kilt che indossano Edgardo ed Enrico.

Ci si trova nella stanza di Lucia, il cui letto a baldacchino è nel contempo rifugio e prigione della fanciulla, sottomessa a un ruolo di adolescente-bambina, esposta a intimidazioni e violenze e attorniata da grandi bambole sfigurate, sue simboliche alter ego. Le fa da custode la nutrice-confidente Alisa, complice succube del doppiogiochista reverendo Bidebent, educatore di Lucia, che, in austero clergyman non importa se presbiteriano o cattolico, pratica una contorta pedofilia. Intermittenti le apparizioni del dispotico fratello Enrico, il capofamiglia. Tutto si svolge qui, dalle scene di gruppo a quelle individuali, tra sogno o fantasticherie e accadimenti reali, dove il reale si confonde col fantastico e viceversa, come in quella pazzia in mezzo a una folla di grotteschi invitati imparruccati. La storia d'amore tra Lucia e il nemico dei suoi Edgardo, che in questo contesto sembra più una fuga nell'irreale, è fatalmente avviata a precipitare nella tragedia. Lucia perderà la ragione, uccidendo nel talamo lo sposo che le hanno imposto, al quale sopravviverà solo di qualche ora. Edgardo la seguirà subito dopo nella tomba. Toccante il notturno corteo funebre punteggiato dalle fiaccole.

Carlo Rizzi, che frequenta assiduamente il golfo mistico del Muziektheater, regge con agilità e ispirata fantasia le redini della competente Nederlands Kamerorkest, con sguardo vigile al palcoscenico, svelando appieno l'incanto dello strumentale donizettiano, che esalta magistralmente il pathos di melodie indimenticabili e la teatralità di momenti irresistibili. L'opera è eseguita in forma integrale, senza i tagli “consacrati” da una stolida prassi, che per troppo lungo tempo ha sottratto allo spettatore pagine non soltanto non inferiori alle altre, ma anche indispensabili alla consequenzialità drammaturgica.

Il soprano Jessica Pratt, persuasiva quale fragile e maltrattata protagonista eppure vocalmente radiosa, non è attesa invano nei momenti cruciali del melodramma, che affronta con incisività drammatica e ragguardevole padronanza di tecnica e stile, non già come una “classica” carrellata di brani cari ai melomani. Per la prima volta , lei che da tempo ha in repertorio Lucia, ha cantato la Pazzia con l'accompagnamento della glassharmonica, strumento il cui timbro “irreale” rende percettibile l'estraniazione di una mente alienata (e il cui ripristino, quando il raro strumento è disponibile, non va considerato un puro esperimento di archeologia musicale). È secondata egregiamente dall'amato e amante Edgardo, che è il tenore Ismael Jordi. Raffinato, intenso ed emozionante, è fiero, innamorato, furente, disperato, nel lirico vigore e nel malioso squillo, tra la magia del celebre duetto d'amore e il desolato addio alla vita. Al baritono Marco Caria (Enrico), che funge da terzo incomodo in quanto crudel fratello di Lucia e antagonista implacabile di Edgardo , va il merito di conciliare efficacemente la cattiveria del personaggio con l'eleganza che si addice al baritono romantico (quello che, con buona pace dei verdiani, fu Donizetti a sperimentarlo per primo).

Passando agli altri interpreti, il basso Alastair Miles disegna un goffo e sgraziato Bidebent, prestandogli una voce aspra e legnosa. Lieta sorpresa la riserva invece il tenore Philippe Talbot, che affronta con soave slancio il limitato ma impervio ruolo di Arturo, il malcapitato sposino, mentre sono degni di menzione l'Alisa del mezzo soprano Cristina Tocci e il Normanno del tenore Erik Slik.

Last but not least, il Coro della Nationale Opera, diretto da Thomas Eitler, che si è valorosamente impegnato, nei numerosi interventi, nella riuscita dello spettacolo. Tanti giovani e giovanissimi tra il folto pubblico e molti, molti applausi!

Fulvio Stefano Lo Presti

8/5/2014