RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Fra Strauss e Mozart

La replica del settimo concerto della stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN), di cui si riferisce, si è svolta sabato 9 dicembre 2017, posticipata per la festività dell'Immacolata Concezione, ma come sempre all'Auditorium Arturo Toscanini di Torino. Focus su Richard Strauss, del quale sono stati eseguiti due poemi sinfonici, Don Juan Op. 20 e Ein Heldenleben Op. 40, intervallati dal Concerto per pianoforte e orchestra n°20 in re minore K 466 di Wolfgang Amadeus Mozart. Protagonisti il direttore Fabio Luisi e il pianista Alexander Melnikov.

Sebbene il suo catalogo sia ricco di composizioni di eterogenea fattura, Strauss è noto soprattutto per il suo contributo nel campo dell'opera e del poema sinfonico, nel quale prende inizialmente le mosse da Franz Liszt, per poi muovere verso un linguaggio più personale. Stricto sensu, degli otto Tondichtungen, ovvero “poemi sonori”, come Strauss li definiva, i due in programma sono rispettivamente il primo, del 1888, e l'ultimo, del 1898, escludendo la fantasia sinfonica Aus Italien (Dall'Italia) Op. 16, del 1886, e la coppia conclusiva di sinfonie, la Domestica Op.53 (1903) e quella Delle Alpi Op. 64 (1915), dove, pur restando nell'ambito della musica descritta a soggetto, il riferimento alla sinfonia è esplicito sia nel titolo, sia nella struttura in quattro movimenti (per lo meno nell'Op. 16 e 53). E, se negli altri poemi il soggetto da rappresentare in musica era stato di volta in volta ispirato a personaggi attinti al folklore tedesco (Till Eulenspiegel), alla letteratura (Don Giovanni, Don Chisciotte) e addirittura alla filosofia (lo Zarathustra nietzschiano), in Vita d'eroe Op. 40 l'eroe non è altri che il compositore stesso, che si ritrae con tanto di temi: uno per lui (in mi bemolle maggiore, tonalità “eroica” per antonomasia, di beethoveniana ascendenza; ma non dimentichiamo che anche l'aura di autorevolezza del Sarastro mozartiano promana dalla stessa tonalità...), uno per i suoi detrattori (i pungenti interventi dei fiati) e uno per la moglie (i bizzosi passaggi al violino solista). Infine, come sfogliando un album di fotografie, non potevano mancare, nell'ultima parte, citazioni di sue composizioni precedenti, a mo' di retrospettiva.

Diverso approccio quello seguito per il Don Juan, in cui il mito dell'inguaribile seduttore viene ripreso dall'omonimo poema di Nikolaus Lenau, lavoro ultimo e incompiuto del 1850, nel quale l'accento è posto, più che sulla dissolutezza di dapontiana/mozartiana memoria (con tutta la serie di precursori, che su questo aspetto avevano giù insistito: vedi Tirso de Molina), sull'irrefrenabile Streben, tutto romantico, di assaporare piaceri ed esperienze sempre nuovi. Don Giovanni è, in questa accezione, un uomo sopraffatto dal desiderio e dalla disperata passione, più che per le donne, per la vita in generale, passione nel senso dionisiaco del termine. E tutto questo traspare nelle note di Strauss, che compone venti minuti di musica briosa, mai quieta, mai sazia di sé, se non nelle isole felici di languidezza che rappresentano le donne di Don Giovanni.

Con un gioco di associazioni di idee: Don Giovanni soggetto straussiano e mozartiano; Mozart inizia il suo Don Giovanni in re minore; e in re minore, tonalità austera e drammatica, scrive il suo ventesimo concerto per pianoforte e orchestra. È il 1785, nel pieno del periodo viennese: la sua attività di libero professionista della musica gli impone di sfornare di continuo nuove composizioni per attrarre pubblico (e con la soluzione del concerto per pianoforte ha l'opportunità di farsi conoscere sia in veste di solista, sia in quella di compositore). Nella sua parabola creativa, su 27 Klavierkonzert solo due sono in tonalità minore, il n°20 e il n°24: segno che la scelta è stata attentamente ponderata. Nel Ventesimo troviamo inquietudini e fremiti già preromantici, che anticipano quella sensibilità per la quale il pubblico del 1785 non era ancora pronto. Non per nulla, divenne il concerto mozartiano preferito di Beethoven, per il quale scrisse anche le cadenze.

Fabio Luisi, non nuovo a maneggiare orchestre consistenti, si riconferma maestro laddove la partitura conta mediamente da quindici a venti pentagrammi sovrapposti. Ascoltato in precedenza alla direzione di mastodonti come la Settima di Bruckner (Torino, Teatro Regio, 23/04/2016) o la Alpensinfonie di Strauss (Firenze, Maggio Musicale Fiorentino, 25/02/2017), non ha deluso neanche stavolta con il repertorio straussiano in programma. Passione, trasporto e vitalità si sommano e traboccano nella sua lettura del Don Juan, cosa che non gli impedisce di ritagliare ed evidenziare quelle sottigliezze di scrittura nel cuore del poema, in corrispondenza dei temi più “femminili”, con adeguata grazia. Sempre energico ma misurato, e come temprato dalla partitura stessa, che denota una scrittura posteriore di dieci anni, meno roboante ma più nobile nell' Heldenleben. In particolare, degna di nota la cura con cui è stata eseguita la lunga coda, che prende congedo dall'ascoltatore. L'OSN, da parte sua, segue con attenzione le indicazioni di Luisi, senza concedersi alcun calo di tensione, con sezioni di archi e di fiati perfettamente coesi. Nota di merito per l'infallibile Roberto Ranfaldi, primo violino di spalla e solista nella sezione dedicata alla Compagna dell'eroe (Pauline de Ahna, moglie di Strauss).

Di diversa, (opposta) natura, l'esecuzione del K 466 di Mozart. L'orchestra, di dimensioni ridotte rispetto a quella straussiana, pare non confarsi alle corde di Luisi, che non riesce a imprimere l'adeguata verve a nessuno dei tre movimenti del concerto. Alexander Melnikov, da parte sua, se un mese e mezzo fa era parso all'altezza del Secondo Concerto di Šostakovic (Torino, Lingotto, 30/10/2017), con piglio deciso nei ritmi marziali e un tocco sublime nel movimento lento, alle prese con le note di Mozart restituisce un'esecuzione che si potrebbe dire “chopiniana”, tutta in punta di dita, con dinamiche appena abbozzate, tali da far perdere forza comunicativa ai passaggi più infuocati e da rendere difficoltoso l'ascolto, il volume sonoro del pianoforte venendo sommerso da quello dell'orchestra (che pur veniva adeguatamente trattenuta da Luisi). Una lettura intimista di ottima fattura dal lato tecnico, ma che stona parecchio col contenuto piuttosto acceso del Concerto. Neanche l'encore concesso a fine esecuzione convince, un Preludio n°3 in sol maggiore Op. 28 di Chopin dove la mano sinistra, anziché scorrere come un invisibile ruscello ipogeo sotto la rarefatta, puntiforme melodia della mano destra (l'ineguagliato tocco di Benedetti Michelangeli in questo dovrebbe fare scuola…), viene accentuata a scapito della resa complessiva di questo meraviglioso bijou musicale di poco meno di un minuto.

Christian Speranza

13/12/2017