RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Macbeth

Questo Macbeth, rappresentato a Genova il 26 gennaio 2013 (prima 19 gennaio), non sembra avere termini di paragone per uno spettacolo ricco di fantasmi, apparizioni, spettri, visioni, anime, incubi, ombre. Risultato di una scenografia di Svoboda ricomposta da Benito Leonori e utilizzata per farci rimanere incollati alla poltrona del Carlo Felice per l'intero spettacolo, senza denunciare neanche un momento di noia.

In un ambiente assolutamente fantastico, chimerico, onirico un organismo di filtri, piani trasparenti, specchi, proiezioni, ha permesso che le figure dei cantanti, dei mimi, delle ballerine apparissero a sparissero senza soluzione di continuità dentro pareti precipiti di mura, o dirupi, o grotte o sterpaglie o selve di ineffabile leggerezza o pesantezza; tenue levità o ponderosa gravità, dove la regia luministica ha avuto notevole importanza. Certo qua e là, a nostro parere, c'è stata qualche smagliatura laddove una grande fiamma proiettata, che ha seguito passo passo il coro delle streghe nel terzo atto, era troppo presente sulla scena ovvero qualche teschio di troppo, incombente.

E la musica? Direte voi. La musica ottenuta dalla bacchetta del giovanissimo maestro Andrea Battistoni (26 anni), è stata espressa da un'orchestra monolitica, dalla stretta fulminea, dall'accento irreprensibile e sempre attenta al canto, sia per quel che riguarda gli ottoni (precisissimi), sia per i legni.

Il coro, diretto da Patrizia Priarone, è una compagine di eccezionale portamento. Volitivo nelle parti concitate (dei soldati e dei sicari). Demoniaco ed espressivo nelle scene con le streghe. Ora dolente, ora malinconico, ora immaginifico. Precipuamente un capolavoro «Patria oppressa», sostenuto da un'orchestra impeccabile. Brano, letto visivamente con effetti di trasparenze impareggiabili, caratterizzato da due fasci di luce bianca che movimentavano l'infinita “trasmigrazione” degli oppressi, in un movimento concentrico molto suggestivo.

Incredibilmente ben levigato e con tutte le voci ben evidenziate, il concertato finale del primo atto.

Potrei finire qui se non fosse che a questo punto la recensione pretende che si parli dei solisti. Ma potrei concludere non perché i solisti abbiano avuto dei demeriti, anzi, tutt'altro! Semplicemente perché hanno fatto parte di uno spettacolo totalizzante, preminente, elettrizzante, talmente mimetizzati in questo Universo-Macbeth, da non potersi considerare “a soli”. Hanno fatto parte, fin da principio, del “tutto”. Sono diventati essi stessi muri, rupi scoscese, mimesi, luci e ombre della scena. E mi spiego.

Quando Lady Macbeth toglie furiosa il pugnale a Macbeth («Dammi il ferro») e corre via per compiere i suoi misfatti… ebbene! Non va dietro le quinte, non esce dalla scena ma “semplicemente” sparisce agli occhi degli spettatori: una magia ottenuta con trasparenze e uso sapiente delle luci ma di un straordinario impatto visivo.

Lady Macbeth appunto. Interpretata da Tiziana Caruso con un gioco alterno di registri gravi e registri acuti sapientemente calibrato ed espresso con mezzi vocali della più bell'acqua. Presenza scenica formidabile, la Caruso ha rappresentato la fierezza del potere, la presunzione della supremazia, la pazzia dapprima latente e poi conclamata utilizzando una vasta gamma di espressioni mimiche e canore di sapiente fattura. Macbeth, qui interpretato da Vittorio Vitelli, ha lavorato in un continuo crescendo di disponibilità vocali fino alla magnifica «Perfidi! All'Anglo contro me v'unite!». Ottima presenza scenica e credibile, onirica raffigurazione del personaggio. Macduff, interpretato dal genovese Enrico Salsi, atteso anziché no, ha cantato disimpegnando onorevolmente la difficile (e unica in quest'opera) aria del tenore «O figli, o figli miei» con un ben tornito cantabile e una scattante cabaletta con Malcolm. Quest'ultimo personaggio egregiamente reso da Manuel Pierattelli. Banco, di Andrea Mastroni, regge onorevolmente il confronto con gli altri colleghi, cogliendo applausi calorosi dopo la sua «Studia il passo, o mio figlio… Come dal ciel precipita».

Teatro con la galleria chiusa per mancanza di pubblico. Peccato! Non sanno, quelli che non c'erano, che cosa hanno perso!

 

Francesco Cento

28/1/2013