RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Nabucco

all'Arena di Verona

Il 95° Opera Festival all'Arena di Verona è stato inaugurato da una nuova e molto attesa produzione di Nabucco, opera di Giuseppe Verdi, con la regia di Bernard Arnaud. Nabucco segna il grande trionfo di Verdi al Teatro alla Scala, dopo un successo di stima (Oberto) e un clamoroso fiasco (Giorno di regno). Terza opera cronologica del maestro di Busseto, fu allora giudicata con enfasi per la musicalità accesa e una scrittura che seppur ruvida poneva le basi di uno stile che avrebbe avuto una lenta maturazione per sfociare anni più avanti in un vero e proprio fenomeno nazionale. Nel 1842 Verdi si rifaceva ancora, in parte, ad autori da lui studiati tenacemente nel periodo milanese, nel quale non fu ammesso al conservatorio e studiò privatamente. L'opera, su libretto di Temistocle Solera, rivela nel suo insieme un tessuto di sintesi che contraddistingue i melodrammi verdiani e disegna drammaturgicamente i personaggi con entrate indicative e arie grandiose. Non manca l'utilizzo cospicuo del coro, e non solo nel celebre "Va pensiero" del III atto, ma in molte occasioni durante tutta l'opera. Successo fin dall'inizio con numerose repliche, al tempo era sinonimo di trionfo, e opera in seguito mai uscita dal repertorio, pertanto esclusa da quella Verdi-renaissance che iniziò negli anni '30 del secolo scorso.

All'Arena di Verona negli ultimi anni abbiamo visto molte produzioni di Nabucco le quali erano comunemente d'impostazione tradizionale. Il regista Arnaud si è volutamente ispirato a un elemento primario, il Risorgimento italiano, sul quale oggi in malafede si crede che i lavori di Verdi abbiano influito grazie ai loro contenuti. Se si supera tal errore storico, possiamo tuttavia apprezzare un lavoro di grande messa in scena, forse addirittura kolossal. Il regista ha preso a prestito la scena iniziale del celeberrimo film Senso di Luchino Visconti, nel quale all'interno della Fenice si rappresenta Il Trovatore, e al termine del terzo atto il loggione inneggia alla liberazione di Venezia dagli austriaci. Partendo da questi presupposti, cioè considerando Nabucco un simbolo e ideale di tale epoca, Arnaud ha trasportato la vicenda durante le Cinque Giornate di Milano, con barricate, tumulti e il monumento più famoso della città: il Teatro alla Scala.

Per analizzare questa lettura non dobbiamo cadere nel facile tranello della filologia drammaturgica e storica. Questo è un prodotto di fantasia, dal quale lo spettatore deve lasciarsi accompagnare in una lettura anomala ma avvincente, quasi cinematografica. Se non si sorpassa questo scoglio, il "Nabucco" Arnaud non piacerà e sarà soggetto a critiche anche molto pesanti. Se invece ci si rende disponibili ad affrontare un racconto epico, nel conflitto tra due popoli, oppressi e oppressori, lotta per il potere, insurrezioni eccetera, allora si potrà godere di questa nuova e diversa lettura, che personalmente trovo avvincente e originale. La scena, strepitosa, di Alessandro Camera, è costituita dall'edificio del Teatro alla Scala visto dall'esterno, e posto di sbieco su una pedana circolare movibile. Ai lati le classiche barricate composte di mobili, carretti. Già durante la sinfonia si ammirano i tumulti dei milanesi che fanno fronte all'invasore austriaco, con spari di fucili e cannoni, è un grande movimento di masse che rende la visione mozzafiato. Crocerossine, carbonari, patrioti, soccorritori, popolo, in uno dei momenti di maggior conflitto. Arnaud è maestro nel muovere alla perfezione artisti del coro e comparse, e in quest'occasione c'è n'erano veramente tanti. Volutamente, della dimensione spirituale di Babilonia e degli ebrei non c'è traccia. I personaggi possono essere accostati a figure del Risorgimento. Ecco dunque che Zaccaria, il profeta, non è altro che un fiero rivoluzionario che potrebbe essere paragonato a Giuseppe Mazzini, Abigaille una sorta di generale in gonnella, qui frutto della fantasia, Nabucco è l'alter ego di Francesco Giuseppe, l'imperatore invasore del Lombardo Veneto, Fenena una fiera Contessa Serpieri dal racconto di Camillo Boito. Il lavoro è totalmente di fantasia, ma sfocia in una plausibilità drammaturgica che affascina. Lo spettacolo è in stile kolossal a tutti gli effetti. Il grande spostamento delle masse come predetto è esemplare ma non mancano grandi effetti come quando il teatro alla Scala si gira nel II atto creando un nobile appartamento ottocentesco per la grande scena di Abigaille, e ancor più, con fragoroso applauso, quando nel terzo atto siamo all'interno del Teatro alla Scala, esattamente ricostruito con i suoi palchi in raso rosso e una platea con panche in stile Ottocento. Il coro è messo tra platea e palchi, ed è lo stesso pubblico che assiste a una rappresentazione di Nabucco , il quale chiede il bis del celebre coro come simbolo d'insurrezione. A mio avviso tutto funziona drammaturgicamente pur in un'annunciata e deliberata fantasia. Molti durante gli intervalli discutevano sulle divise dei soldati non corrette, su alcune bandiere opinabili, o altri elementi, ma penso che in questo caso siano capziosità, poiché non era intento del regista fare un documentario storico, bensì una narrazione popolare di eventi che hanno segnato la vita del nostro paese. Approvo le parole del regista: «... Mi sono permesso questa fantasia perché l'ambiente narrato nel libretto di Solera è fantasia. È' più la forza del simbolo che la storia stessa ad avermi guidato».

Da rilevare gli splendidi costumi, disegnati dallo stesso regista, dei quali non so dire se colori o taglio siamo esattamente coerenti con il momento, ma siamo di fronte a manufatti di alta scuola del costume che lasciano una traccia non facilmente dimenticabile. Lo stesso ricordo che ha lasciato anche la scena, imponente e meccanicamente perfetta. Non sono sicuro ma credo costruita interamente dai laboratori della Fondazione Arena, che confermano un lavoro straordinario. Grande partecipazione scenica di numerose comparse che hanno letteralmente invaso l'anfiteatro, con grande professionalità.

Il versante musicale ha confermato la grande professionalità di alcuni e parecchie delusioni nei solisti. Sul podio c'era Daniel Oren, un'istituzione in Arena, il quale ha concertato con la solita tecnica precisa, e un ritmo tipicamente verdiano della prim'ora. Tuttavia, in taluni momenti il suono era molto contenuto e di difficile ascolto, e certe raffinatezze della bacchetta non si potevano cogliere. Penso che anche la posizione dell'orchestra debba essere riveduta e migliorata nella presa di suono che diversamente per le voci è adesso collaudata tramite dei riporti. Resta innegabile l'efficace direzione del direttore israeliano, anche se in taluni momenti mi sarei aspettato più impulsività, e l'ottima prova dell'Orchestra dell'Arena.

Ha trionfato il grandioso Coro dell'Arena, istruito da Vito Lombardi, che sempre più è punto di riferimento per le esecuzioni teatrali a Verona in particolare all'Arena. Immancabile il bis di “Va pensiero” al terzo atto, giustificato per una prima ma con l'auspicio che non diventi prassi per tutte le altre recite.

Deludente nel complesso la compagnia di canto. Il Nabucco di George Gagnidze non possiede la caratura del cantante verdiano soprattutto nella padronanza del fraseggio e dell'accento, eseguiti con genericità. Non aiutato dal portamento scenico e da qualche scivolata nell'intonazione, bisogna riconoscere che nel finale ha saputo in parte riscattare una performance molto ridimensionata. Tatiana Melnychenko, Abigaille, è il classico soprano dell'est dotato di tanta voce ma per nulla rifinita in tecnica e stile. Infatti, oltre a una dizione incomprensibile in ogni parola, la sua esibizione si è basata sulla forza delle corde vocali, ma molto limitata in fraseggio e colori tanto da essere anche banale. Note non meno negative, o forse più, per il basso Stanislav Trofimov, Zaccaria, che ha sfiorato l'imbarazzante per appariscenti lacune vocali che non gli permettono minimamente di superare un giudizio accettabile.

Walter Fraccaro, Ismaele, è il solido professionista che conosciamo, ma credo non in serata poiché leggermente appannato. Meglio la Fenena di Carmen Topciu, professionale cantante capace di finezze attraverso una voce ben calibrata e sostenuta nell'accento e colore. Bravissimo Romano Dal Zovo, Gran Sacerdote, che a ogni occasione conferma qualità che in un prossimo futuro dovrebbe portarlo a ruoli di protagonista.

Molto buone le prove di Paolo Antognetti, Abdallo, e Madina Karbeli, Anna, due dei più validi artisti nei ruoli minori fortunatamente spesso utilizzati a Verona.

A termine di una serata torrida, che credo abbia anche condizionato l'esibizione di molti soliti, il successo non è mancato con convinti applausi per tutti. Due annotazioni a margine. Possibile che non si possa nascondere la gru all'esterno dell'anfiteatro, un vero pugno nell'occhio; e peccato l'opera non fosse rappresentata in due parti con un solo intervallo. Spettacolo sicuramente da rivedere con cast alternativo.

Lukas Franceschini

6/7/2017

Le foto del servizio sono di Ennevi-Arena di Verona.