RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Ecco la gloria di Nabucco!

Come credo i lettori si saranno accorti, Bellininews non va in ferie: le serate trascorse a Taormina per assistere alla recite di Carmen, Don Giovanni e del Barbiere di Siviglia ci avevano dato modo di ricevere almeno cinque volantini a sera, da parte di baldi giovanotti, che pubblicizzavano il Taormina Opera Stars 2015, ambizioso progetto a guida Enrico Stinchelli, che prevede, oltre ad alcuni concerti, ben tre opere verdiane, e precisamente Nabucco, La Traviata e Aida. Abbiamo dunque deciso di seguire tale Festival, anche se la quasi totale assenza di pubblicità a Catania e provincia ci ricordava una certa Bohème della quale a suo tempo abbiamo informato i nostri lettori. Comunque, nel depliant erano almeno chiaramente indicati gli interpreti, il regista, il direttore d'orchestra e soprattutto La Bottega Fantastica quale fornitore della scenografia: speranzosi di non dover assistere ad un'altra opera con costumi recuperati tra armadi e fondi di magazzino, ci siamo diretti verso il Teatro Antico confortati almeno dal nome di Alberto Gazale quale protagonista.

Chi conosca almeno per sommi capi il libretto di Nabucco sa che si tratta di una vicenda ambientata in Assiria in tempi non esattamente recenti, e comunque secoli e secoli prima della nascita di Cristo. Detto questo, e pur consci che ogni regista è libero di ambientare un'opera nell'epoca che più gli aggrada (salvo poi scontarne le conseguenze in termini di gradimento e critica), purché mantenga un minimo di coerenza storico-temporale, e soprattutto ricordando la Bohème già da noi recensita, il 16 agosto ci siamo rassegnati ad assistere ad una nuova regia dell'ineffabile Stinchelli, sperando timidamente che fosse guarito dallo spaesamento sociotemporale che lo affliggeva a giugno.

Andiamo per ordine; se la memoria non c'inganna, nel suo blog Stinchelli, qualche anno fa, nell'articolo Ridicoletto a Taormina, definì ridotto il palcoscenico del Teatro Antico. Naturalmente, coerente con le sue affermazioni, ha deciso di restringerlo ulteriormente collocando l'orchestra sul palcoscenico e dietro i cantanti (seguiti dal direttore attraverso un monitor ben visibile e disturbante la mimesis), recuperando in tal modo il parterre che viene sempre eliminato durante le rappresentazioni delle opere.

Scenografia: una specie di tavolaccio sopraelevato, al quale i cantanti accedevano da alcuni gradini posti di fronte allo spettatore, gradini che scricchiolavano in maniera inquietante ad ogni piede che vi si posava. Completavano l'arredamento due bracieri e quattro lance disposte in maniera abbastanza tradizionale.

Luci: un piattume totale, usate al solo scopo di illuminare la scena e nulla più. Completavano il tutto una serie di fumigazioni dalla finalità abbastanza oscura e una tizia in morbido abito di lamè che si presentava puntuale ad ogni inizio di atto, e della quale non siamo riusciti a comprendere l'esatta funzione.

Costumi: avete presente un viaggio nel tempo? Più o meno come in certi film di fantascienza? Bene. Cominciamo dalle comparse: dapprima sono entrate delle giovinette abbigliate più o meno come le sacerdotesse druidiche delle regie tradizionali di Norma, con abiti bianchi ma con scudi ben in vista. Secondo il libretto sono le vergini ebree, ma allora non si capisce cosa c'entrassero gli scudi. Entra Zaccaria, gran pontefice degli ebrei, in giacca e pantaloni bianchi, rigorosamente contemporanei, scarpe bianche e stola ricamata di tipo cristiano: più o meno un incrocio tra un gagà anni '70 e un gelataio. Poi arriva Ismaele, in sahariana, pantaloni moderni e fusciacca in tinta. Fenena: un abito di vaga ispirazione indiana, ben fornito di lustrini e coprispalle. Abigaille: ricco abito da sera amaranto in taffetà con ricami luccicanti, molto scollato, per la prima e la seconda parte, nero con strascico e guanti di raso al gomito, completati da anello di brillanti e da una rumorosissima collana per la terza parte. Nabucco: pantaloni, camicia rossa per la prima parte, abito più da imperatore romano che da re assiro per la seconda, completato da un manto rosso. Evidentemente Stinchelli ignora che la porpora diventa un attributo regale solo con i romani, e cioè un bel po' di tempo dopo Nabucodonosor. Non basta, perché nel finale il povero Gazale è stato costretto a comparire in scena in camicia rossa, pantaloni e fusciacca nera, più o meno tipo ballerino di flamenco.

Bene: passiamo adesso alle comparse, spropositate come numero, inutili se non d'impiccio. Nell'ordine abbiamo ammirato: le guardie del corpo di Nabucco in stile Matrix, total black, occhiali scuri integrali, aspetto da buttafuori da discoteca; ballerine appena adolescenti che perdevano le scarpe (eterogenee, vaganti dalle ballerine ai tacchi a spillo ai sandaletti) in succinti abitini sparluccicanti, che entravano in scena al quadro primo della parte terza, fornite di bicchieri a tulipano, che si agitavano scompostamente con movenze da ubriache, assolutamente scoordinate e vaganti qua e là con risatine ebeti. Vediamo cosa recita la didascalia di Temistocle Solera: “Orti pensili. Abigaille è sul trono. I Magi, i Grandi sono assisi ai di lei piedi; vicino all'ara ove sorge la statua d'oro di Belo sta coi seguaci il Gran Sacerdote. Donne babilonesi, Popolo e Soldati”. Di ballerine seminude nessuna traccia… ma Stinchelli si è messo in testa di riformare e correggere il librettista…

Proseguiamo e arriviamo al Va' Pensiero (che è stato bissato a gran richiesta e dopo un momento di imbarazzante malentedu tra coro e orchestra): secondo Solera (che non ebbe la ventura di conoscere Stinchelli) deve essere cantato da schiavi ebrei in catene, soggetti ai lavori forzati, ma non prevede la presenza di bambini caracollanti per il palcoscenico in tenute eterogenee, bambini chiaramente non istruiti che si sono lasciati più e più volte sfuggire risatine che certo non aiutavano la già traballante mimesis.

E qui va aperta una parentesi: come mai Stinchelli moltiplica in questo modo abnorme le comparse, rendendo di fatto il palcoscenico una bailamme di gente che vaga alla rinfusa? E si badi bene che si tratta di comparse assolutamente inesperte, certo ingaggiate al momento tra gli stessi taorminesi.

Fin qui la regia, o almeno quella che osa definirsi tale. Passiamo adesso alla parte musicale: coro e orchestra, del Taormina Opera Stars, e il direttore Eddy de Nadai, si sono disimpegnati alla meno peggio, perdendo qua e là i cantanti, rendendo gli ensemble e i finali abbastanza squinternati, ma ben sorretti da un'amplificazione che toglie all'opera lirica almeno metà del suo fascino. E non ci si venga a dire che lo fanno anche a Verona: rimane una forzatura, dato che (ma la storia è un'opinione per Stinchelli &Company) l'opera lirica non nasce per voci e orchestre amplificate, ma per sfruttare al meglio la voce umana, già dotata di due amplificazioni naturali, volgarmente dette registro di petto e registro di testa. Ma Stinchelli confonde la lirica con i concerti rock, o forse vuole soltanto stupire con la potenza delle voci che riesce a portare a Taormina.

E passiamo ai cantanti: Ernesto Morillo, nel ruolo del Gran Sacerdote, pur se amplificato, ad un orecchio esperto non ha celato una voce abbastanza dura e corta, debole nella zona grave. Ha cantato in maniera abbastanza scolastica Freno al timor!, senza infamia e senza lodo, né il suo fraseggio ha evidenziato particolari raffinatezze.

Bene invece Antonella Carpenito nel ruolo di Fenena: voce morbida e piena, che l'assenza di amplificazione avrebbe permesso di apprezzare meglio, si è disimpegnata con buona professionalità nel duetto con Ismaele, nonostante la voce di Alfio Marletta Valori fosse quanto di più lontano si possa immaginare da quella di un cantante.

Rebeka Lokar, nell'impervio ruolo di Abigaille, è senz'altro un soprano dotato di voce possente, ben estesa, con buona tecnica dei fiati; tuttavia, non basta una voce potente per fare una cantante di grande classe. Il suo fraseggio, ancora abbastanza grezzo, non le consentiva di entrare appieno nel personaggio della fiera principessa, che ha reso più vicino a Lady Macbeth che a quello di una donna dilaniata tra l'amore e la scoperta delle sue vili origini.

Immenso, vero baritono verdiano per assoluta eleganza di fraseggio, Alberto Gazale è stato l'unico che con la sua classe è riuscito a far dimenticare le banalità della regia stinchelliana: voce bronzea, di grande estensione, si è confermato, nonostante i danni acustici da amplificazioni un perfetto interprete per il ruolo di Nabucco.

Giuliana Cutore

21/8/2015