RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Sgombra è la sacra selva, compiuto è il rito…

Norma è non solo il capolavoro assoluto di Vincenzo Bellini, ma in un certo senso la vetta estrema di una forma artistica, il melodramma, la cui maggiore o minore riuscita è affidata ad una mimesis estremamente sfuggente, in bilico com'è tra l'aspetto drammatico e quello musicale; già il fatto che i personaggi cantino e non recitino soltanto impone allo spettatore una maggiore fatica nell'immedesimazione, che spetta alla musica sorreggere di continuo, quasi sbalzando i protagonisti sul tessuto sonoro e non soltanto accompagnandone le vicende. Naturalmente, anche la caratterizzazione dei personaggi ha la sua importanza, insieme alla coesione dell'azione, al suo precipitare, aristotelicamente, verso la catarsi finale, segni essa la morte o la salvezza. A ben vedere, Norma è una delle pochissime eroine liriche, fatta eccezione per Violetta o in campo maschile per Rigoletto, dotata di una serie di sfaccettature morali che ne fanno un personaggio composito, estremamente dinamico e difficile: come Violetta è insieme cortigiana e donna innamorata, cosciente che l'amore segnerà la sua rovina, e Rigoletto buffone e padre amoroso, così Norma è sacerdotessa, amante, madre, ma soprattutto donna leale fino alle estreme conseguenze. Questi aspetti emergono pian piano grazie ad una musica che ne segna e tratteggia l'evoluzione interiore, dando ragione del canto e al tempo stesso del gesto scenico con una coesione a nostro avviso non ravvisabile quasi in nessun altro melodramma.

Poste queste premesse, è chiaro che un regista che affronti Norma deve capire innanzitutto che il suo intervento deve essere il più discreto possibile, giacché ogni intrusione eccessiva rischierebbe di alterare il delicatissimo equilibrio che abbiamo appena delineato. E non solo: pochi registi si sono accorti che Norma ha anche un'altra caratteristica, quella cioè di possedere oltre ad un'unità di azione un'unità pressoché assoluta di tempo. La vicenda, per chi legga con attenzione le didascalie del libretto, si svolge nello spazio che va dal sorgere della luna sino probabilmente all'alba successiva, ma assolutamente non oltre, e dunque anche questa unità, che rafforza ed enfatizza la profonda dinamicità della protagonista, va rispettata tentando di ricreare quell'atmosfera lunare che dovrebbe essere tipica di ogni rappresentazione di Norma degna di tale nome.

Già il fatto che la Norma andata in scena al teatro greco di Siracusa il 4 luglio, con repliche il 10, il 18 e il 25, per la regia e le scene di Enrico Castiglione, abbia avuto inizio alle 20 e 30, ha immerso lo spettatore nella giusta atmosfera: nel crepuscolo estivo, le fronde del boschetto alle spalle del teatro si sono scurite pian piano, oscuro fondale sul quale si stagliavano grandi massi che seguitavano le pietre millenarie del teatro. Una scena quasi disadorna ma pregnante, che suggeriva la Gallia d'epoca romana senza affollare di inutili orpelli uno spazio scenico sul quale, come da un bassorilievo, sarebbero dovuti emergere i personaggi, a loro volta sbalzati plasticamente dalla musica del Cigno etneo. Intuizione registica di grande sensibilità, ben gradita nel dilagare di regie cervellotiche di blasonati teatri dove Pollione si aggira in sahariana ed elmetto coloniale ed Oroveso indossa pelli di leopardo mai viste in Gallia. A Siracusa, invece, anche i costumi, realizzati con estrema sensibilità storica sin nei minimi particolari da Sonia Cammarata, hanno per così dire amplificato l'atmosfera lunare di Norma, con colori scuri, su cui predominavano solo l'azzurro, il rosso e l'argento delle vesti femminili.

Anche la scelta delle luci, il meno intrusive possibile, atte a creare giochi d'ombre sul palcoscenico, ha permesso di tener ben presente l'atmosfera notturna di Norma: una lunga notte di inganni, di amore, di paure, che in una livida alba vede il sacrificio finale di una donna che offre se stessa sull'altare di un dio crudele, pur di salvare i propri figli, un'amica innocente, ma soprattutto la propria dignità.

Su questo impianto registico di notevole efficacia si sono mossi tutti i protagonisti, con movimenti lenti, ieratici a tratti, tragici nel più autentico senso della parola: se Norma ha recuperato il gesto imperioso della sacerdotessa che s'impone al suo popolo, Oroveso si poneva al centro dei guerrieri, andando da un gruppo all'altro e soffermandosi, quasi a ricordare l'antico ruolo del capo gallico, non monarca assoluto, ma guida di una casta avente quasi pari dignità. Ottima, in tal senso, la scelta di far cantare Casta Diva su una grande pietra piatta posta al centro della scena, quasi un bomòs greco, che consentiva alla sacerdotessa di costituire come il vertice di un'immaginaria piramide, simbolo del suo contatto diretto, medianico, con Irminsul.

Chiara Taigi, nel ruolo eponimo, è riuscita a mostrare la dinamica interiore del suo personaggio: algida e ieratica nella cavatina, ha offerto il meglio di sé nei momenti più lirici, quando dovevano emergere gli aspetti più reconditi di Norma, la sua dolcezza verso Adalgisa, il suo dolore di madre e l'ira dell'amante di Pollione. In tal senso, il momento magico della serata è stato il primo duetto tra Norma e Adalgisa, dove la Taigi ha saputo sino in fondo rendere il lento passare dalla donna adulta che ascolta le confidenze di una fanciulla, alla donna amante che ricorda nostalgica, per poi far trionfare l'amica che libera dai voti chi può ancora esserne sciolta, in un climax al quale hanno certamente giovato non solo l'esatto dosaggio dei movimenti scenici, ma anche una scelta di tempi piuttosto slargati da parte dell'Orchestra Sinfonica Bellini Festival, diretta con buona sensibilità belliniana e con ragguardevole comprensione del particolare fraseggio del nostro Cigno da Jacopo Sipari di Pescasseroli.

Sul fronte più esclusivamente vocale, va detto che la Taigi è riuscita ad affrontare la parte con discreta disinvoltura, pur in una non totale padronanza della tecnica belcantistica così necessaria per Norma: voce estesa e limpida negli acuti, dava ottima prova nel registro medio, evidenziando però alcune asprezze nella zona bassa, che nuocevano ai recitativi, non sempre resi con eleganza e fluidità di fraseggio.

Notevole la prova offerta da Adriana Damato nel ruolo di Adalgisa: dotata di buona tecnica belcantistica, ha cantato con eleganza di fraseggio e con estrema cura una parte che, non possedendo un'aria nel senso vero e proprio del termine, trova il suo punto di forza nel grande arioso iniziale e nei duetti con Norma e Pollione. Voce ben estesa, dal timbro morbido, sicura nei passaggi di registro e sempre ben coperta, ha contribuito non poco all'incanto dei duetti con Norma che sono stati senz'altro il punto di forza canoro della rappresentazione.

Bene il basso Josè Antonio Garcia, un Oroveso di notevole prestanza scenica, come anche il Flavio di Giuseppe Di Stefano e la Clotilde di Anna Consolaro. Quanto a Pollione, Piero Giuliacci, pur non smentendo l'alta professionalità che rilevammo l'anno scorso nelle recita di Pagliacci e Cavalleria, non è riuscito a calarsi esattamente nella parte: tenore di buona scuola ma di impianto tipicamente verista, è rimasto per così dire al di qua del personaggio, non riuscendo a trovare un'esatta connotazione vocale né nelle parti liriche, né nell'aria di sortita.

Il Coro Lirico Siciliano, diretto con la consueta professionalità da Francesco Costa, ha confermato le sue sicure doti musicali, offrendo una prova di notevole levatura: incisivo dove occorreva, senza mai indulgere a sonorità eccessive, ha evidenziato morbidezza di suono, assoluto rispetto della partitura e soprattutto un'eccellente dizione.

L'orchestra Sinfonica Bellini Opera Festival ha ben retto la prova con una musica scoperta quale quella belliniana, con un buon colore orchestrale, precisione negli attacchi e accurato fraseggio: forse i tempi un po' troppo slargati hanno nuociuto qua e là, ma davvero di ottimo livello è stata la prova dei fiati, con particolare riguardo al flauto solista, che ha ben saputo esaltare i momenti più struggenti dell'opera.

Giuliana Cutore

5/7/2015

Le foto del servizio sono di Dominick Giliberto.