RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Lirica alle pendici dell'Etna

Ci sono luoghi dell'anima che rappresentano molto più di quanto danno. È questo il caso – tra i tanti – di Linguaglossa, ridente località montana alle pendici dell'Etna, in cui uno dei più celebri artisti siciliani, il basso-baritono Simone Alaimo, ha compiuto gli studi superiori e trascorso gli anni della giovinezza. Lo scenario, quello del Convento dei Domenicani che si affaccia sulla piazza principale del paese, non è cambiato: lì il cantante, cinque anni or sono, ha posto le basi di un'attività, al tempo stesso formativa e performativa, che ha l'obiettivo di valorizzare giovani talenti, ai quali trasmettere i segreti dell'arte del belcanto, di quella misteriosa fucina di bellezza, applicata alla musica, che ha permesso all'Italia di scrivere una delle sue pagine più gloriose nella storia dell'arte. Con pochi mezzi e tanta buona volontà, i capolavori di Mozart e Rossini, Donizetti e Verdi sono diventati colonna portante dell'EtnaOperaFestival “Simone Alaimo – Il Belcanto”, che ha usufruito come sfondo naturale del suggestivo colonnato del pio istituto di preghiere, ora riconvertito in più moderna e accogliente struttura ricettiva. Selezionati con apposito concorso su ruolo, i giovani esecutori hanno frequentato un periodo di studio intensivo, culminato con le recite delle Nozze di Figaro o della Traviata, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola, L'elisir d'amore e Don Pasquale: con esecuzioni forse perfettibili, ma in cui era dato toccare con mano un entusiasmo contagioso, una vitalità incontenibile, un desiderio di imparare che è frutto di un artigianato antichissimo ma blasonato, generosamente consegnato da Alaimo ai protagonisti della kermesse. Forse, più degli spettacoli stessi era interessante assistere alle prove, anche solo per la possibilità di sfogliare spartiti su cui erano condensate riflessioni e appunti elaborati in quasi mezzo secolo di carriera nei più importanti teatri del globo: da mattina a sera, le lezioni si intrecciavano a un ricordo della Caballé e un respiro della Valentini Terrani, un gesto di Muti e una variazione di Zedda.

Rispetto alle quattro edizioni precedenti, quella di quest'anno ha costituito una sorta di pausa di riflessione: chiusi i cordoni di borse inesorabilmente sorde ai valori della cultura, assenti i politici di turno per i consueti, improrogabili impegni – salvo ritrovarne alcuni a pochi metri di distanza, in piazza, per consegnare il solito premio di rilevanza rionale – il Festival è rimasto in piedi grazie alla ferma volontà di Alaimo, del direttore musicale Andrea Tarantino e di alcuni ospiti e vincitori delle passate edizioni; e soprattutto in forza del supporto economico dell'Associazione Val di Ragabo Etna Nord-Est, autorevolmente presieduta da Salvatore Castorina, che come sempre sovrintende al buon funzionamento della macchina organizzativa: da qui la decisione di varare un breve ciclo di eventi, con programmi assai vari e articolati. La rassegna è culminata in un concerto, Lirica sotto le stelle, che ha riscosso le entusiastiche accoglienze di una platea numerosa, partecipe e vibrante: quasi a voler suggerire che esiste ancora un pubblico pensante e desideroso di ascoltare buona musica.

Anche in questo caso, il repertorio proposto spaziava dalla canzone napoletana all'operetta alle arie d'opera: in un crescendo, abilmente orchestrato, alla maniera del salotto di primo Novecento, in cui non si esitava ad adattare e trasporre i brani per esaltare le capacità degli interpreti: i soprani Leslie Visco e Dora Sorrentino, il tenore Davide Battiniello e la partecipazione straordinaria dello stesso Alaimo, accompagnati al pianoforte da Gianbartolo Porretta. C'è stato spazio, così, per la canzone siciliana d'autore – Nicuzza, una tra le più ammalianti serenate di Franco Finestrella, dedicata alla moglie Alfonsa; come per il Rossini da camera più celebre, con la celeberrima Danza; per l'operetta di Franz Lehár, con un «Tace il labbro» che ha coinvolto tutti i cantanti in un'inestricabile quanto seducente corrispondenza d'affetti; fino ad alcune pagine pucciniane, tratte da La bohème, Gianni Schicchi e La rondine. È stata un'occasione preziosa per alcune conferme e per altre certezze: a cominciare dal pianismo perfettamente dosato di Porretta, che – pur giovanissimo – padroneggia quell'arte dell'accompagnamento del canto lirico, oggi tristemente in via di estinzione. Battiniello ha avuto l'arduo compito di aprire la serata: assestatosi su una vocalità tenorile generosa, ha trovato il suo momento più convincente in un'accorata Passione di Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente, con bella sobrietà e giusto senso dell'equilibrio, nel poetico crescendo della seconda strofa. Sorrentino colpisce invece per la morbidezza di uno strumento che ben si presta non soltanto al candore giovanile di «O mio babbino caro», ma che predilige le tinte autunnali e screziate della sortita di Magda de Civry, con un «Bel sogno di Doretta» modellato su un fraseggio articolato e cangiante.

Leslie Visco era in splendida forma: con un equilibrio tra facilità tecnica e intelligenza interpretativa esaltati già dalla tarantella rossiniana; ma che ne hanno fatto una Musetta d'eccezione in un valzer piccante quanto malioso, impreziosito da un gioco di filature finali da manuali; e nello scoppiettante Bacio di Arditi, autentico banco di prova di una coloratura fluida, luminosa, brillante. Alaimo ha riservato per sé pochi interventi, ma tutti mirati. Non stupiva, infatti, vederlo trascinare «Tace il labbro», ma soprattutto esibire una sicurezza spavalda in quel prezioso cammeo che è Granada di Lara, nella versione originale spagnola; e intestarsi poi l'ineludibile omaggio belliniano con il duetto dei due bassi dai Puritani, qui declinato nell'insolita versione per basso e… tenore. In realtà, Battiniello ha validamente supportato un «Suoni la tromba» al calor bianco, brano del quale Alaimo ha esaltato l'estroversa comunicativa, l'energia espressiva e lo slancio elettrizzante. E, per suggellare l'attesa dell'alba di vittoria, il quartetto di interpreti dapprima ha ripreso Lehár, quindi ha concluso con un «'O sole mio» per una volta sottratto al trionfo di ugole spiegate e restituito a un più ponderato, fervido gioco dinamico: di buon augurio, per il futuro della lirica all'ombra dell'Etna.

Giuseppe Montemagno

7/8/2019

La foto del servizio è di Sebastiano Rapisarda.