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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Fin de partie di Gyorgy Kurtag

alla Scala di Milano

Finalmente dopo anni di gestazione e rimandi, dovuti a peculiari situazioni del compositore, è stata rappresentata al Teatro alla Scala in prima esecuzione assoluta Fin de Partie di Gyorgy Kurtag, dalla pièce omonima di Samuel Beckett. Curioso che Kurtag, ormai oltre la soglia dei novant'anni, sia giunto solo ora alla composizione di un'opera lirica, un sogno o un obiettivo che seguiva da circa dieci lustri. Questo determina che l'opera continua a essere un genere molto ambito e anelato dai compositori, anche se molti e famosi non si sono mai cimentati con il teatro musicale.

Fin de Partie è, secondo le dichiarazioni dell'autore, il suo “addio alla vita” nell'esperienza creativa musicale. La scelta del testo non poteva che cadere su un autore teatrale come Samuel Beckett, molto amato da Kurtag, il quale aveva già utilizzato testi del drammaturgo irlandese per suoi lavori precedenti ( ...pas à pas - nulle part… Op. 56, Samuel Beckett: What is the Word Op. 30). Kurtag durante la permanenza parigina assistette a una rappresentazione di Fin de Partie, restando molto colpito, e in seguito avrebbe affermato che se un giorno avesse composto un'opera l'avrebbe tratta da quel capolavoro.

Dopo una lunga e complessa valutazione Kurtag decise di utilizzare circa un quarto del testo originale, inserendo all'inizio una poesia sempre di Beckett (Roundelay). Il testo di Beckett, che si ascrive al teatro dell'assurdo, racconta una partita a scacchi, durante la quale uno dei giocatori constata la sconfitta irreparabile e la dichiara. Drammaturgicamente l'opera è statica poiché è costituita da quattordici episodi che si sviluppano in scene e monologhi. La vicenda narra di quattro personaggi che vivono in una casa, Hamm cieco e in carrozzella, i suoi genitori Nagg e Nell, privi degli arti inferiori, e il servo Clov, unico personaggio che cammina. I protagonisti vivono questa situazione assurda aspettando una fine, che arriva prima per Nell, mentre Nagg sparisce senza logica. Clov abbandona Hamm perché che si rende conto della propria situazione di uomo ormai stanco e relegato alle ruotine. Restato solo Hamm si rende conto che adesso tocca solo a lui continuare la partita, con il finale scontato, ma lui la giocherà sino alla fine.

In Fin de Partie si scorgono aspetti caratterizzanti della musica di Kurtag. Lo stile vocale è asciutto ed emaciato, più modellato sul testo che sulla melodia, tanto da parafrasare un declamato con forti inflessioni espressive drammatiche. L'orchestra invece esprime una folta varietà di colori strumentali, colti e d'ispirazione cameristica, tali da trovare un parallelo supporto alle voci, producendo una risonanza emozionante. Emerge una generale tinta noir, supportata dagli strumenti gravi e percorsa a tratti da accensioni con riflessi metallici.

Pierre Audi confeziona uno spettacolo validissimo, attraverso una regia che sposa in pieno la partitura poiché incentrata sul dettaglio. Lo spettrale immobile protagonista è raggelante nei suoi monologhi, quasi schizofrenico il servo, immersi in bidoni i genitori Nell e Nagg. Peculiare la scelta del regista di svolgere l'opera all'esterno della casa, perdendo così una lettura intima e famigliare che probabilmente sarebbe stata più azzeccata. Contribuiscono a creare un ambiente decadente, quasi uno spregevole tono da grandguignol, le scene di Christof Hetzer, le quali sono valorizzate da un eccellente disegno luci di Urs Schonebaum. I costumi dello stesso Hetzer lasciavano un segno indifferente.

Memorabile il lavoro di concertazione di Markus Stenz, il quale ha reso evidenti le molteplici espressioni contenute nello spartito, con ritmo serrato e una precisa sequenza di linguaggi, spesso angoscianti, coadiuvato da una precisa orchestra.

Validi anche i quattro interpreti, la cui valutazione non è tanto nel canto inteso nel senso nobile, quanto in un declamato stilizzato, sempre intonato, espressivo ed emotivo. Frode Olsen era un Hamm ben realizzato, Leonardo Cortellazzi un caricaturale Nagg, Hilary Summers una lirica sconclusionata Nell, e Leight Melrose un quasi incompreso Clov.

Sicuramente l'opera non è un capolavoro in senso assoluto, ma è destinata a diventare punto di riferimento del teatro musicale contemporaneo. Il pubblico, non foltissimo, ha gradito l'operazione culturale del Teatro alla Scala con un buon successo, anche se durante le pause molte persone abbandonavano la sala.

Lukas Franceschini

29/11/2018

Le foto del servizio sono di Ruth Walz.