RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La Passione secondo Jacobs

Suonare Bach (Johann Sebastian, ça va sans dire), immergersi nell'ascolto della sua musica, capirlo, seguirlo nei suoi deliri contrappuntistici ed amarlo per la sua logica musicale inappuntabile è come aprire uno scrigno di gioielli preziosi, di monili multiformi, talora simili tra loro, ma sempre con impresso il conio della loro fattura inarrivabile, che servirono da modello a non pochi cesellatori posteriori: quando, nel 1789, Mozart, di passaggio a Lipsia, ascoltò il Mottetto Singet dem Herrn ein neues Lied (Cantate al Signore un canto nuovo) BWV 225, chiese di visionarne la partitura ed esclamò: «Ecco finalmente qualcuno da cui posso imparare qualcosa!» (e per dirlo Mozart…)

Quando poi si tratta della Passione secondo Matteo BWV 244, i bachiani smaniano. Il genere musicale della Passione, la messa in musica cioè del racconto biblico delle ultime ore terrene di Cristo, coi ruoli dei personaggi suddivisi tra diversi cantanti (com'è uso fare in chiesa la domenica delle Palme, in versione recitata), ha visto il suo apogeo nella stagione barocca (con notevoli esempi più vicini a noi: la Passione di Cristo secondo Marco di Lorenzo Perosi, del 1897); in ambito luterano, però, il testo evangelico viene sempre più interrotto da arie solistiche di libera ispirazione poetica e soprattutto corali, o Kirchenlieder, favorendo il commento e la meditazione dei fedeli come alle varie stazioni della via crucis. E, delle cinque Passioni composte da Bach, secondo il Necrologio di Carl Philipp Emanuel (il secondogenito) e dall'allievo e compositore Johann Friedrich Agricola, la Matthäus-Passion è quella più ambiziosa: doppio coro e doppia orchestra (con doppio organo, nel caso non della sua prima versione – BWV 244 b –, presentata Venerdì Santo 11 aprile 1727, ma di una successiva, quella del 30 marzo 1736) sistemati in posizioni contrapposte per effetti di stereofonia, un terzo coro di «soprani in ripieno» a rinforzare di un cantus firmus la già densa polifonia del brano introduttivo (Kommt, ihr, Töchter, helft mir klagen), una selva di corali e arie solistiche (su testi di Christian Friedrich Henrici, alias Picander) a fianco della narrazione dei capitoli 26 e 27 del Vangelo di Matteo per una durata complessiva di quasi tre ore.

Sotto la bacchetta di René Jacobs, la Matthäus-Passion è stata eseguita nell'ambito di MITO SettembreMusica, tradizionale kermesse musicale, giunta quest'anno alla nona edizione, con appuntamenti fra Milano e Torino, rigorosamente nel mese di settembre. Ad ospitarla, per quanto riguarda la sede torinese, è stato l'auditorium «Giovanni Agnelli» del Lingotto, martedì 22 settembre 2015 (la prima esecuzione, al conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano, è avvenuta il giorno prima, lunedì 21 settembre: San Matteo Apostolo...). L'esecuzione ha fatto parte di tre concerti dedicati a Bach, tutti diretti da Jacobs e tutti con l'Akademie für Alte Musik di Berlino (Akamus), comprendenti, oltre alla Matthäus-Passion, anche la Johannes-Passion e i Concerti per violino e archi (Isabelle Faust solista): un bel modo per fare gli auguri a Johann Sebastian in occasione di un compleanno a cifra tonda (1685-2015: trecentotrent'anni e non sentirli!), ma anche un bel modo per partecipare a «Torino incontra Berlino», seconda tappa dell'iniziativa «Torino incontra», volta a promuovere il dialogo fra Torino e le diverse culture europee, (quest'anno quella tedesca). «Torino incontra Berlino» verrà inaugurata ufficialmente il 9 novembre 2015, a venticinque anni esatti dalla caduta del muro, ed è curioso ricordare, in questa sede, che quando, l'11 novembre 1989, Rostropovic tenne un concerto improvvisato sotto il muro in demolizione, suonò, guarda caso, Bach. Se infine aggiungiamo che l'inizio della riscoperta di Bach da parte dei Romantici (la «Bach-reinassance») avvenne proprio a Berlino, grazie all'esecuzione della Matthäus-Passion del 1829 diretta da Felix Mendelssohn (che si permise, in alcuni casi, di correggere la lectio del maestro!) e che quel Carl Philipp Emanuel coautore del Necrologio era noto come “il Bach di Berlino”, appare chiaro che tra Johann Sebastian e Berlino (e, aggiungo, campanilisticamente, Torino) continua ad esistere un fil rouge senza usura.

Più luci che ombre per quanto concerne l'esecuzione torinese della Matthäus-Passion. La ricostruzione filologica è pregevole: gli strumenti della Akamus sono barocchi – oboi e flauti dalla foggia antica – i flauti in legno, dal timbro più dolce e più caldo rispetto a quelli moderni, in metallo –, i due cori e le due orchestre (compresi i due organi) sono separati e disposti ai lati del podio, a imitare la dislocazione originale, i «soprani in ripieno» sono realmente soprani e non voci bianche, come spesso si incontra; e soprattutto il numero di esecutori, compresi i membri del RIAS Kammerchor, è adeguato e proporzionato alle probabili dimensioni di un coro medio dei tempi di Bach (molto più contenute rispetto ai cori moderni). Di tale coro la forza è soprattutto l'indipendenza della varie parti, in grado di far riconoscere, partitura alla mano come per lo scrivente, la condotta delle diverse linee vocali nella pur complessa polifonia bachiana.

Werner Güra (Evangelista) e Andrè Schuen (Cristo) sono perfetti per i loro ruoli: il primo è un tenore leggero, agile, squillante, che si spinge talvolta a utilizzare il falsetto nei passaggi più acuti; il secondo, un basso-baritono caldo, versatile, con un buon volume di suono. Kristina Hammarström, mezzosoprano per le arie solistiche, è però certamente la voce che ha convinto di più: le due arie Buss und Reu (n° 6, col recitativo accompagnato Du lieber Heiland du, n° 5) ed Erbarme dich (n° 39) nella seconda sono state cantate con intensità e trasporto, con voce piena e rotonda anche nei piano . Sunhae Im, soprano coreano per le arie, pur sostenendo adeguatamente la parte, esibisce una voce più stridula (specialmente nell'aria Aus liebe, n° 49, con quei dolcissimi ricami del flauto), più fine, non esente un paio di lievi stonature nell'aria Blute nur (n° 8). Volume vocale insufficiente, invece, per Sebastian Kohlhepp e Konstantin Wolff, rispettivamente tenore e basso per le arie solistiche: l'accompagnamento strumentale prevarica spesse volte sulla loro voce, che si fatica ad apprezzare, come in Gerne will ich mich bequemen (n° 23) e in Gebt mir meinem Jesum wieder! (n° 42) per basso, dove il dialogo col violino solista, nel n° 42, propende nettamente a favore di quest'ultimo. Complessivamente meglio, invece, nei pezzi d'assieme, come in So ist mein Jesus nun gefangen, n° 27, un duetto soprano-contralto con interventi secchi e precisi del coro, o in Nun ist der Herr zur Ruh gebracht, n° 67, sorta di ipotetico commiato da Gesù (e dal pubblico) di tutte le voci soliste, in cui ognuna, compreso il coro, intona uno o più versi.

Resta da ultimo la questione della direzione: Jacobs eccelle nell'attenersi alle rare – e per questo preziosissime – indicazioni agogiche bachiane (talvolta con dei piano e dei forte che si vorrebbero giustificati o dalla sua sensibilità di interprete o da una versione della partitura diversa dalla mia), con tanto di rispetto per punti e legature, oltre alla trasparenza con cui riesce a rendere i non pochi passaggi polifonici e fugati dei cori, specialmente quando quest'ultimo è chiamato ad impersonare la turba. Delude però per la grande velocità della quasi totalità delle arie solistiche. Intendiamoci: non è scritto da nessuna parte che i tempi di Jacobs siano sbagliati, chissà, forse sarebbero stati quelli adottati da Bach stesso. Ma il Bach sacro è spiritualità: Helmut Walcha prescriveva di eseguire il Bach organistico lentamente, per comprendere e fare proprio lo spessore polifonico della sua scrittura. E solo attraverso un'adeguata, una sublime lentezza si riesce a capire la bellezza di tale scrittura. La già menzionata aria Erbarme dich per contralto, personalmente la più bella della Matthäus-Passion e una tra le più belle di Bach, scritta non a caso nella tonalità “bachiana” di si minore, in cui la voce dell'anima di Pietro (e della comunità dei fedeli) si batte il petto e chiede pietà («Erbarme») per aver rinnegato Cristo, si è cambiata da un compianto al tempo stesso penetrante e meditativo (e mai straziante, ché Bach non era il tipo da effetti teatrali) ad una esecuzione più ordinaria e, pur vocalmente soddisfacente, non così toccante. Peccato. Non vorremmo cedere alle malelingue che hanno imputato questa scelta al voler contenere i tempi dell'esecuzione (va detto, integrale) della Matthäus-Passion entro la chiusura della metropolitana; ma, considerando che lo stesso Mendelssohn optò, nel 1829, per una versione abbreviata della stessa, il sospetto è lecito…

Christian Speranza

30/9/2015