RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Stat rosa pristina nomine,

nomina nuda tenemus

La rosa, simbolo alchemico per eccellenza, è legata alla trasmutazione e alla rinascita sin dal II secolo dopo Cristo: ne L'Asino d'oro di Apuleio, il giovane Lucio, tramutato in asino da un maleficio, dopo molte vicissitudini ritroverà la sua forma umana mangiando la corona di rose che il sacerdote di Iside offre ogni anno alla dea in occasione del navigium Isis, festa della navigazione che si svolgeva il 5 marzo, simboleggiando il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile, e che segnava la ripresa della navigazione e la rinascita della natura. Iside, grande divinità egizia connessa alla rinascita di Osiride ucciso dal dio del male Seth, conobbe in epoca imperiale romana un culto di notevole importanza, culto che la ritraeva avvolta da un grande mantello azzurro trapunto di stelle, con un aspide e con la falce di luna, tutti elementi che si ritroveranno in epoca cristiana nell'iconografia della Vergine, alla quale, appunto come Iside, saranno dedicate le rose. Da qui la rosa continua il suo percorso alchemico, da sempre presente nella simbologia esoterica, dai Templari ai Rosacroce; in forma di rosa Dante disegna la sfera dei Beati, quasi a simboleggiare l'estrema rinascita spirituale dell'uomo, attraverso la sofferenza, il martirio, l'elevazione mistica o semplicemente grazie a un'esistenza rettamente vissuta.

E la rosa si ritrova in Der Rose Pilgerfahrt, un suggestivo oratorio profano composto da Robert Schumann tra il 1851 e il 1852, su testo di uno sconosciuto poeta tedesco di nome Moritz Horn, che propose al musicista un poema suddiviso in 24 composizioni, che narra appunto la trasmutazione, grazie a un incantesimo della principessa degli elfi, di una rosa bramosa di sperimentare lo stesso amore che provano gli uomini. La rosa viene mutata in una fanciulla, appunto di nome Rose, alla quale la principessa degli elfi affida un talismano, anch'esso in forma di rosa: dovrà portarlo sempre con sé, senza mai abbandonarlo, altrimenti morirà. Garanzia della trasmutazione e della vita, il talismano accompagnerà Rose per la sua breve esistenza, nel corso della quale scoprirà sia la cattiveria che la bontà degli uomini, verrà accolta come una figlia, simbolicamente grazie a un becchino, quasi a significare la vita che risorge dalla morte, da un mugnaio e da sua moglie, che rivedranno in lei la figlia morta d'amore. Rose scoprirà l'amore, e genererà un figlio al quale, in un estremo atto di sacrificio, donerà la rosa talismano di vita e di felicità, immolando se stessa pur di consentire alla sua creatura un'esistenza felice. Ma non tornerà alla terra, perché gli angeli, come con la Margherita di Faust e come lo stesso Faust nella versione goethiana, la innalzeranno fino al cielo, da dove potrà contemplare il suo bocciolo, il bimbo, fiorire e maturare.

Un testo ricco di simboli, dove sembrano coagulare in una fiaba, perché così volle definirla Schumann, tutti i rimandi di una millenaria tradizione con protagonista la rosa: la rosa si trasforma in fanciulla e poi in angelo, simbolo forse di quell'eterno femminino goethiano che trae l'uomo verso l'alto, in quanto elemento alchemico di trasformazione; la rosa è indissolubilmente legata alla morte, all'arcano XIII dei Tarocchi, la Morte appunto intesa come fine di un ciclo e inizio di uno nuovo, ed è sin dall'antichità connessa ai riti magici e iniziatici.

Tutti questi elementi si ritrovano nel testo poetico di Der Rose Pilgerfahrt, presentato dal Bellini di Catania il 12 maggio, nella prima versione per soli, coro e pianoforte, che fu proposta da Schumann in un'esecuzione in forma privata nella sua residenza di Düsseldorf il 6 luglio 1851, prima della versione per orchestra che andò in scena, sempre a Düsseldorf, il 5 febbraio 1852. Una composizione di grande raffinatezza, dove l'anelito amoroso di Rose si estrinseca con una dolcezza romantica sempre acutamente vigilata, quasi ad additare la mortecontinuamente in agguato, la caducità dell'umano, ma soprattutto la tensione verso la trasmutazione e l'itinerarium mentis in Deum che costituisce il senso riposto del testo poetico, compreso nella sua più intima e allusiva interezza dal compositore. Anche la morte di Rose, nello struggente finale, sembra disciogliersi in un afflato mistico di luce divina, dove vita e morte, morte e vita si intrecciano indissolubilmente nelle voci angeliche.

Il coro, istruito alla perfezione da Ross Craigmile, è riuscito a esprimere nel canto tutta la struggente malinconia e dolcezza della composizione, dando prova di estrema morbidezza di suono e di notevole capacità di dosare le sonorità. Di ottimo livello anche le prestazioni dei cantanti, soprattutto Martha Mathéu, nel ruolo della rosa, che ha sfoggiato estrema musicalità e rifinita emissione vocale, limitando la sua prestazione nell'ambito del Lied, senza mai indulgere ad ammiccamenti operistici. Ben calibrata anche la prova del tenore David Alegret, e misurati e composti gli interventi di Graziella Alessi, Antonella Fioretti, Franca Aparo e Salvatore Todaro, mentre un plauso particolare, per bellezza di voce e aderenza al ruolo, va a Mario Sapienza, che ha impersonato il Becchino.

La pianista Saskia Giorgini si è dimostrata ottima accompagnatrice, non sovrastando mai i cantanti, dosando in modo adeguato i tempi, ma al contempo ha evidenziato un tocco vellutato e una nitidezza di suono che hanno contribuito a mettere nella giusta luce la raffinata delicatezza della partitura di Schumann.

I brani dell'oratorio sono stati intercalati da un testo italiano recitato con garbo e pulizia di dizione da Ezio Donato.

Lodevole senz'altro la linea intrapresa dal direttore artistico del Bellini, Francesco Nicolosi, che ha scelto di accostare a concerti più tradizionali performances che propongano al pubblico brani e composizioni meno esplorate, per non dire rare, in un concreto tentativo di promuovere la cultura intesa come nuove conoscenze e non come ripetitiva ricapitolazione di un repertorio fin troppo consueto. Spiace però notare che il pubblico catanese, almeno nella sua maggioranza, non sembra gradire queste scelte, dato che, come già nel dicembre scorso per La Cantata dei Pastori, anche stavolta gli stessi abbonati hanno disertato un concerto inconsueto ma di grande valore e attrattiva: evidentemente il pubblico medio, come non accade nelle grandi città che da tempo strutturano in tal senso le stagioni concertistiche, non ha molta voglia di impegnare le orecchie in ascolti insoliti che, se implicano magari un'attenzione più vigile e uno sforzo di documentazione, offrono però una reale occasione di arricchimento culturale e di allargamento dei propri orizzonti.

Giuliana Cutore

13/5/2017

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.