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La signora Morli, una e due

al Brancati di Catania

Da sinistra: Filippo Brazzaventre, Maria Rita Sgarlato, Daniele Bruno e Carlo Ferreri.

La signora Morli, una e due, rappresentata per la prima volta al Teatro Argentina di Roma nel 1920 dalla compagnia di Emma Gramatica, è senz'altro una della commedie di Luigi Pirandello che più risentono di un tema caro allo scrittore agrigentino, quello cioè della molteplicità dell'io, molteplicità talvolta dettata da un'acuta coscienza, quasi una più sensibile percezione delle cose, come in Uno, nessuno, centomila, in gestazione proprio negli stessi anni, pur se pubblicato nel 1925, ma più spesso determinata precipuamente dalle convenzioni sociali che, limitando l'Io all'interno di ruoli ben definiti se non addirittura carceranti, creano quegli scompensi tra essere e apparire alla base di comportamenti apparentemente contradditori o devianti, ma che in effetti rappresentano solo la difesa dell'individuo dinanzi all'omogeneizzazione comportamentale imposta dalle regole accettate supinamente dai più. Al personaggio pirandelliano, presente in ogni commedia, va quindi il compito di demistificare questi comportamenti, svelandone al tempo stesso le contraddizioni e le storture col solo portarne alle estreme conseguenze i presupposti impliciti sui quali si reggono.

In quest'ottica, il teatro di Pirandello è davvero senza tempo, giacché tali meccanismi mistificatori sono sempre all'opera in ogni epoca storica, limitandosi magari solo a mutare i loro contenuti: è giusto dunque tentare un'esplicita attualizzazione della Signora Morli, come ha fatto Riccardo Maria Tarci, regista del dramma in scena al Brancati di Catania dal 31 gennaio al 17 febbraio, trasportando l'azione ai giorni nostri e modificando il copione originario con un occhio alla tecnologia moderna e alla voce fuori campo (quella del giovane Aldo), a commento ed esplicitazione della vicenda. Il risultato è stato quanto mai fluido e accattivante, grazie anche alle scene essenziali di Susanna Messina e agli eleganti costumi delle Sorelle Rinaldi, che hanno ricostruito uno spaccato di vita altoborghese dove il perbenismo e il formalismo non si annidano più solo nella morale, il che sarebbe risultato abbastanza datato, ma proprio in quella supina acquiescenza all'usanza, al politically correct, a regole non scritte in nome delle quali è necessario sacrificare non solo i propri sentimenti, ma addirittura se stessi.

Pur se il lavoro è stato trasposto in ambito contemporaneo, l'interpretazione degli attori ha però seguito fedelmente lo stile pirandelliano, evidenziando quel certo straniamento di matrice espressionista che, se da un lato prevede una recitazione solo apparentemente sopra le righe, dall'altro dà allo spettatore la pregnante impressione di una finzione scenica che rimanda comunque ad altro, permettendo alle battute più importanti del personaggio cardine di emergere in tutta la loro potenza demistificante. Su questa linea si è attestata tutta la compagnia, da Gianmarco Arcadipane a Tiziana Bellassai, da Anna Passanisi a Santo Santonocito, che hanno interpretato i ruoli collaterali con misurata gestualità, curando molto la mimica e la dizione, il che ha permesso anche nelle scene più concitate di non perdere una sola battuta.

Carlo Ferreri, nel ruolo di Lello Carpani, l'avvocato compagno di Evelina Morli dopo la sparizione per parecchi anni del marito di lei, ha tratteggiato con estrema cura il ritratto dell'uomo preoccupato sino allo stremo del proprio ruolo sociale, rispettoso delle forme e delle convenzioni sociali, lasciando emergere un personaggio volutamente dimesso e opaco, assolutamente sconvolto dall'improvviso e per lui inspiegabile comportamento della compagna. Specularmente, Filippo Brazzaventre, che ha impersonato Ferrante Morli, il marito scanzonato e imbroglione, insieme al quale Evelina ritrova quella vivacità che l'ossequio al sociale ha ricoperto come di una muffa, ha infuso al suo ruolo una pacata bonomia, un distacco aristocratico, un apparente menefreghismo che si contrapponeva all'ansia del primo, rendendo in tal modo palpabile e icastico il doppio ruolo di Evelina Morli, interpretata da Maria Rita Sgarlato: l'attrice è riuscita a esplicitare in maniera pressoché perfetta la dissociazione del personaggio, usando senza mai abusare di una gestualità molto marcata, esprimentesi talvolta in pose plastiche allusive del bon ton borghese, riservando invece a tutto il secondo atto una genuina vivacità che si alternava a una recitazione più dimessa e sofferta, e trovando infine nel monologo finale le giuste pause per mettere in evidenza ogni battuta, sorretta sempre da una mimica egregia e da un'ottima dizione.

Un plauso particolare infine va al giovane Daniele Bruno, nel ruolo di Aldo Morli, il figlio di Evelina: molto naturale e misurato, ha dato prova di una notevole disinvoltura scenica e di un buon bagaglio tecnico che gli permetteranno in futuro di affrontare con successo personaggi di maggior rilievo.

Giuliana Cutore

3/2/2019