RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Pedofilia e cattolicesimo

Concetto al buio di Rosario Palazzolo

Non passa giorno senza che i quotidiani o i media riportino notizie su preti pedofili che, non contenti di infangare il loro ministero e di consumare i loro crimini ben protetti dall'ombra delle sacrestie, osano per soprammercato difendersi adducendo pretesti più o meno incongrui e sconci, dove anche la dignità delle loro vittime viene vilipesa e schernita. Ma quel che più indigna è la non tanto velata complicità delle autorità ecclesiastiche: è notizia di qualche giorno fa quella di un arcivescovo che ha osato dire che un prelato non ha l'obbligo di denunciare un collega che si sia reso autore di molestie sessuali o peggio ancora (se può essere peggio, ma sicuramente lo è) di violenza carnale ai danni di un bambino o di una bambina.

Del resto, pur rimanendo tali crimini ingiustificabili, è anche vero che la castità imposta ai ministri cattolici è quanto di più innaturale e amorale ci sia, giacché è inammissibile che un uomo o una donna possa trascorrere l'intera esistenza privo di una normale vita sessuale. Vietare il matrimonio, ammesso invece per i ministri protestanti, rende di fatto l'attività sessuale qualcosa da praticare per vie deviate, fornendo al contempo quasi un alibi alla pedofilia, terreno di elezione per chi, per inclinazione naturale o a conseguenza di una scelta di vita quale quella del celibato ecclesiastico, non riesca a dominare i propri istinti, o almeno a volgerli su sentieri naturali e non criminosi.

Su questo problema, divenuto ormai una piaga della società moderna, e nei confronti del quale la chiesa cattolica non sa far altro che continuare a praticare un'ipocrisia centenaria interrotta solo sporadicamente da mea culpa che lasciano il tempo che trovano, è incentrato Concetto al buio, un atto unico del palermitano Rosario Palazzolo, andato in scena al Centro Zo di Catania dal 15 al 17 marzo nell'adattamento di Micaela Miano. La regia di Guglielmo Ferro, coadiuvata dalle scene di Alessia Zarcone e dalle musiche di Massimiliano Pace, rendeva con estrema pregnanza espressiva, nella sua cupezza claustrofobica, l'esistenza di un adolescente siciliano, costretto a trascorrere chiuso in una stanza tutta la sua vita, con l'unica compagnia di una boccia con un pesce e di un quaderno rosso, un diario segreto che ormai conosce a memoria. Da questo diario emerge pian piano una storia orribile ma abbastanza comune, fatta di ignoranza e di miseria, con protagonisti un prete pedofilo e una madre assurdamente cattolica e perbenista che, pur di non denunciare la figlia messa incinta dal sacerdote, ne rinchiude per sempre il figlio (il conceptus, cioè il prodotto del concepimento) nel buio di una stanza, segregandolo pur di salvare la faccia e di non rinnegare una vita trascorsa all'ombra delle canoniche e delle sacrestie.

Circondati da un'attrezzeria scarna, ridotta all'essenziale, buia nel suo emanare una miseria ancestrale, gli attori si muovevano snodando pian piano il ductus della vicenda, rendendolo sempre più chiaro agli occhi dello spettatore fino all'esplosione finale, vero atto d'accusa contro i preti pedofili. La regia di Guglielmo Ferro ha guidato con mano sicura i tre attori, Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Francesco Maria Attardi, sottolineando la cupezza della vicenda, l'untuosità del prete e l'apparente rassegnazione della vittima finale di tale violenza.

I due giovani attori, Giovanni Arezzo e Francesco Maria Attardi, hanno interpretato i loro ruoli, quello di Concetto e quello della madre, la cui reale femminilità emergerà solo alla fine della pièce, in un altalenare di ricordi narrati e di azione rivissuta, riuscendo a far emergere pian piano l'intersecarsi di piani narrativi previsti dall'autore, in un lento snodarsi che consentiva quasi di misurare palmo a palmo l'orrore di una storia incredibile, permettendo soprattutto alle conseguenze inenarrabili del perbenismo cattolico di venire pienamente alla luce all'improvviso, come un pugno nello stomaco, cosa che senz'altro era nelle intenzioni dell'autore. Agostino Zumbo, nel doppio ruolo del prete e della madre, quest'ultima che compare sporgendo solo la testa dalla boccia del pesce, quasi in una citazione da Finale di partita di Beckett, si è mosso con grande disinvoltura, facendo sì che fosse non solo la voce, ma tutto il corpo a recitare, uniformando i suoi movimenti ora alla lentezza untuosa del prete indegno che vìola un'adolescente, ora alla disperazione del ministro cattolico finalmente pentito, ma che pur nel pentimento non sa trovare la forza di autodenunciarsi e salvare il figlio della violenza, unica azione che potrebbe riscattarlo agli occhi degli uomini.

Giuliana Cutore

18/3/2019