RECENSIONI
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Die Entführung aus dem Serail

alla Scala di Milano

Al Teatro alla Scala è stato allestito Die Entführung aus dem Serail di Wolfgang Amadeus Mozart nello storico allestimento di Giorgio Strehler. Le recite in programma dell'opera mozartiana sono state inserite nell'attuale stagione d'opera per una doppia commemorazione: i vent'anni dalla scomparsa di Strehler e i dieci di Luciano Damiani, scenografo e costumista. Questo spettacolo fu creato per il festival di Salisburgo nel 1965, erano protagonisti Annaliese Rothenberger, Fritz Wunderlich e Fernando Corena, direttore Zubin Mehta, lo stesso di questa ripresa scaligera. La produzione fu poi acquistata dal Teatro alla Scala e allestita nel 1972, 1979 e 1994 con cast differenti ma rilevanti.

Rivedere questo bellissimo spettacolo è stato emozionante (per i ricordi del ‘94) e occasione per ripensare al teatro di regia. Trattasi di uno dei pochi casi di spettacolo perfetto, ideato sulla musica e su un teatro in stile nel segno dell'eleganza e nel rispetto mozartiano. Pare che alcuni abbiano espresso delle critiche, preferendo una regia più moderna al passo con i tempi, ma mi permetto di dissentire con forza, poiché questa produzione del Ratto è agile, lineare, costituita da fondali bellissimi, quinte mobili tradizionali in stile orientale, costumi irreprensibili nella fattura. Poi la regia di Strehler (oggi ripresa da Mattia Testi) ci regala un mondo mozartiano sicuramente del suo tempo ma attuale e vivo nella recitazione, stilizzato, elegante, comico senza eccessi, una piacevole visione che appaga l'anima dello spettatore. Inoltre, la drammaturgia è sviluppata tra proscenio (in ombra) durante le arie e la recitazione, con i dialoghi parlati, al centro della scena illuminata da luci più sostenute (ottimo il lavoro di Marco Filibeck), che sottolineano l'appartenenza dell'opera al Singspiel . Il teatro illuminato durante l'ouverture e la grande aria di Konstanze al secondo atto hanno segnato grandi momenti di teatralità Poiché recentemente abbiamo visto alcuni nuovi allestimenti del Ratto molto meno fortunati, intrisi di cervellotica psicologia e scelte registiche ambigue, meglio la vecchia e tradizionale strada che le nuove proposte.

Molto bella la direzione di Zubin Mehta, che si sviluppa in tempi dilatati ma sempre armoniosi e stilizzati, senza eccedere in frenetiche sonorità che identificano la scuola del maestro indiano. La perfetta sintonia con l'Orchestra del Teatro alla Scala, in forma mirabile, ha prodotto un suono dolcissimo, forse nostalgico, ma calibrato e sfumato, indubbiamente di grande effetto teatrale. Bravissimo il Coro, diretto da Bruno Casoni, nei brevi interventi e impeccabili i quattro solisti.

Il cast era prevalentemente “tedesco” con limiti vocali ma perfetta dizione anche se ha dimostrato una generale omogeneità però senza punte particolari. Mauro Peter, Belmonte, ha voce non particolarmente seducente ma è musicale, però le agilità sono il suo tallone d'Achille. Più compita la Konstanze di Lenneke Ruiten, incisiva nei brani di eroica determinazione pur non possedendo una tecnica virtuosistica afferrata, e infatti l'esecuzione di “Marten aller Arten” era molto approssimativa. Tobias Kehrer, Osmin, imperversava sulla scena con una compita recitazione mai sopra le righe, accomunata a un canto rifinito anche se il registro grave richiesto non è risolto a dovere. Maximilian Schmitt è un simpatico e professionale Pedrillo. La migliore era Sabine Devieilhe, Blonde, che recita in maniera impeccabile e canta con una voce esile ma nitida e pulita e assolve tutti i suoi compiti, soprattutto nel registro acuto, con precisione e duttilità.

Da menzionare la bravura dell'attore Cornelius Obonya (Selim), l'ottima prova del servo (ruolo muto) di Marco Merlini, elegante e brillante, e i quattro bravissimi mini.

Successo incontrastato per tutti al termine, anche se l'ovazione l'ha ricevuta il maestro Mehta.

Lukas Franceschini

6/7/2017

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.