RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Pazzi per Rossini

I giocattoli con cui abbiamo a che fare da bambini hanno anime diverse: ci sono quelli che di fisico hanno poco, ma ci fanno volare con l'immaginazione e ci portano lontano, figurandoci mondi remoti e paesaggi impossibili, quelli dal design scandinavo e un po' intellettuali, bei colori e forme precise che ci annoiano un po' e che riscopriamo da grandi. Ci sono però anche quelli semplici, belli e basta, per i quali sviluppiamo una particolare predilezione e per i quali ci emozioniamo solo tenendoli tra le mani. Il lettore avrà probabilmente capito dove vogliamo andare a parare con questa metaforina da quattro soldi: questo Barbiere ci è piaciuto e basta; perché? Perché sì, taglieremmo corto, come dicono i bambini. Ma cercheremo di approfondire la questione visto che bambini, ahimè, non lo siamo più.

Collocare concettualmente Il Barbiere in un ideale mondo di giochi ci è sembrata la cosa più naturale, viste la colorata leggerezza, la rotondità innocua, l'autentico ed efficace senso della burla di questo eterno capolavoro. Tanto più se quella chiara essenza giocosa viene ravvivata e riproposta in questa bellissima edizione del Teatro Comunale di Bologna, durante una recita domenicale stracolma di pubblico. Un'opera, questa, che non ha bisogno di sfarzo, è essenziale e pulita e quello che serve per divertire il pubblico è già tutto nella musica, è sufficiente dotarsi di buoni interpreti e cavalcare la “follia organizzata” del grande pesarese.

Come ci ha abituato il Comunale in questa bella stagione, il primo ingrediente non manca, visto che il cast si conferma di ottimo livello. In questa recita abbiamo saputo apprezzare, più che in altre occasioni, la disinvoltura con cui gli ottimi cantanti accompagnano la propria voce, arrivando a costituire un tutt'uno con il proprio personaggio. È forse però proprio questa la grandezza di Rossini, l'esser riuscito ad attribuire attraverso la musica un secondo livello di lettura del testo, trovando, con un incredibile istinto sonoro ancor più che musicale, l'accento giusto, il colore più adatto ad una determinata situazione. E così ci troviamo ad immaginare gli eccentrici personaggi dell'opera buffa che vivono cantando; e per estensione, ci immaginiamo che gli interpreti stessi non possano comunicare che cantando: cosa che, per quanto ci riguarda, risulta estremamente buffa. Ad onorare Rossini in questa complicatissima arte, lo ribadiamo, erano tutti gli interpreti, ma ci sembra doveroso citare per primo un grandissimo Marco Filippo Romano, Bartolo, protagonista assoluto per quanto riguarda espressività, tecnica, presenza, capace di tirar fuori dalla melodia e dal suo corpo un universo di colori, sfumature, ed arricchire il tutto con strane entità sonore a metà strada tra il borbottio, l'eco e il rumore. Brava, bravissima Cecilia Molinari, Rosina, voce, figura e costume – splendida la creazione di Stefania Scaraggi che ammicca a Capucci – è il caso di dirlo, cuciti assieme in un bouquet allegro e impertinente, perfetto per il personaggio. La coppia Figaro-Conte di Almaviva è una vera e propria sorpresa: il primo, interpretato da Vincenzo Nizzardo, voce altisonante, è alto, atletico, smunto in confronto all'immagine del barbiere cui siamo abituati, mentre il secondo, Diego Godoy, tenore leggero e cristallino, è di corporatura esile e di statura visibilmente diversa; insieme, proprio grazie alla contrapposizione di figura e voci, costituiscono una coppia perfetta che ci ha fatto ricordare molto della migliore commedia all'italiana, un Tognazzi-Vianello in versione lirica, capace al contempo di gag spassose – merita una menzione l'ottimo regista Federico Grazzini – e di un'assoluta padronanza dei difficilissimi fraseggi rossiniani, incubo di molti cantanti. La particolarità del recensire un'opera come il Barbiere sta anche nel fatto che un personaggio chiama l'altro, come in una successione di numeri da circo, tutti essenziali per la riuscita dello spettacolo: l'ultimo, che ci deve però per forza essere, ma di sicuro non per bravura, è nel nostro caso Andrea Concetti nei panni di Basilio, una caratterizzazione riuscitissima per tecnica vocale, recitazione ed immedesimazione.

L'abbiamo già detto e lo ripetiamo, in questa produzione tutto concorre a questo gioco perfetto che è il Barbiere di Siviglia, interpreti, costumi, scenografie. Il lettore è avvisato, dopo l'ingenua metafora iniziale, dovrà sopportare anche questa ricca enumerazione di similitudini, suggestioni e immagini che non possiamo fare a meno di riportare; prima tra tutte, una riflessione sulla eccezionale scenografia di Manuela Gasperoni che ci ha colpiti per la pulizia e la giocosa eleganza, rimandando immediatamente al sontuoso lavoro per il grande schermo di Adam Stockhausen – Grand budapest Hotel, tra gli altri – alla limpidezza della luce di Edward Hopper, che abbiamo ritrovato nel cielo limpido e nei colori vividi, al gusto bislacco e colorato dei film di Tim Burton, che oltre ad essere presente in alcuni elementi della scenografia pervade, in un certo senso, tutta l'atmosfera dello spettacolo: nei divertenti accenni di balletto, o in alcune geniali trovate come l'enorme palla da demolizione che nel secondo atto irrompe in scena – sì: abbiamo pensato ovviamente anche alla Prova d'orchestra di Fellini.

L'essenza di questo spettacolo, l'essenza dell'opera buffa di Rossini, noi la interpretiamo dunque così, esattamente come l'abbiamo vista: qualcosa di istintivo, allegramente incontenibile, eterno, esplosivo e bonariamente contagioso. Un palloncino rosso, durante il finale felice e glorioso, vola via dal palco, scivola nella buca d'orchestra, sembra scomparire, ma trova un archetto che vuole giocare: colpito dolcemente, torna a volare.

Giovanni Giacomelli

27/3/2019

Le foto del servizio sono di Rocco Casaluci.