RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Goliarda Music-Hall

al Piccolo Teatro di Catania

Goliarda Sapienza nacque a Catania nel 1924 da una famiglia di professionisti. Il padre, l'avvocato Giuseppe Sapienza, era il legale degli umili e dei diseredati; la madre Maria Giudici fu la prima donna a dirigere la camera di lavoro di Torino. All'età di sedici anni vinse una borsa di studio per allievi attori all'Accademia di Arte drammatica di Roma e proprio nella capitale si stabilirà in modo definitivo, anche se sopravvivrà sempre in lei un caro ricordo della fanciullezza vissuta in Sicilia. Per qualche anno si rivelerà una felice promessa del teatro italiano e riscuoterà anche lusinghieri consensi e successi sia di pubblico che di critica. Purtroppo nel 1946 una grave crisi depressiva la porterà lontano dal mondo dello spettacolo, mondo nel quale rientrerà di tanto in tanto solo in modo marginale e per interpretare parti secondarie, com'è avvenuto per i film Un giorno di vita (1946) di Alessandro Blasetti, Persiane chiuse (1950) di Luigi Comencini, Vestire gli ignudi (1954) di Marcello Pagliaro, Senso (1954) di Luchino Visconti, Lettera aperta a un giornale della sera (1970) di Francesco Maselli.

In seguito Goliarda Sapienza si è dedicata con fervore e passione alla letteratura, pubblicando cinque romanzi, tutti facenti parte di un articolato ciclo autobiografico, e alcuni racconti. Il primo, intitolato Lettera aperta (1967), è una rievocazione-rivisitazione dei luoghi e delle prime esperienze della fanciullezza, un'infanzia passata a giocare nei cortili della civita, cuore e anima della vecchia Catania, fra il profumo delle piante di basilico e l'odore di salsedine proveniente dagli archi della marina e del porto. La casa editrice Sellerio nel 1997 ripubblicò Lettera aperta con un ricordo-prefazione di Dacia Maraini che scrisse fra l'altro: «I suoi libri portano l'impronta di una straziata e tenera sicilianità: il suo linguaggio ricco, fastoso, tende ad un lirismo barocco tutto sensualità e dolore». Suo secondo romanzo fu Il filo di mezzogiorno (1969) che rappresentò la conseguenza e l'approfondimento del primo. In realtà è la cronistoria del tentativo di cura che uno psicanalista compie sulla protagonista ormai lontana dalla Sicilia ed emigrata a Roma. In esso amare e strazianti esperienze personali, quali per esempio il trattamento antidepressivo e devastante degli elettroshock subiti dopo il tentativo di suicidio, vengono descritte in modo crudo e realistico. La terza prova narrativa della scrittrice siciliana, L'università di Rebibbia (Rizzoli 1984), trasse lo spunto da un'esperienza autobiografica alquanto tragica vissuta dall'artista che una sera, trovandosi in casa di un'amica, aveva sottratto dei gioielli e per questo era stata denunciata alle pubbliche autorità. Sarà proprio in carcere che Goliarda riconquisterà una dimensione di sé che aveva smarrito nel mondo. Nel 1987 vede la luce la sua quarta prova letteraria, Le certezze del dubbio (1987), che rievoca l'esperienza carceraria. Goliarda Sapienza morirà nella città di Gaeta nel 1996, dove il marito Angelo Maria Pellegrino avrà cura di pubblicare il suo ultimo romanzo L'arte della gioia (Stampa Alternativa 1998) e i racconti Destino coatto (2002). Nell'aprile del 2010 il Teatro Stabile di Catania dedicò alla scrittrice siciliana, presso il Centro Culture Contemporanee di Piazzale Asia, lo spettacolo Io ho fatto tutto questo con il testo, la regia e i video di Maria Arena, le scene e i costumi di Daniela Orlando, le musiche di Carmen Consoli e la performance della stessa Orlando.

Il 24 novembre (replica il 25) ha avuto luogo al Piccolo Teatro di Catania la pièce Goliarda Music-Hall di Paola Pace e Francesca Joppolo, ottenuta selezionando vari spezzoni tratti da alcuni scritti della Sapienza: Il filo del mezzogiorno, Ancestrale, L'arte della gioia, Elogio del bar, per creare un unico filo conduttore che scavasse a fondo nella personalità dell'artista siciliana. Essenziale ma sicuramente adeguata alla rappresentazione è stata la scenografia di Fabrizio Lupo, così come i costumi di Dora Argento e le luci di Roberto Zorzut. Parecchio significativi si sono rivelati i vari inni anarco-socialisti cantati dal vivo da Marcello Savona e Maria Piazza, quasi sottofondo e sfondo ideologico al dramma della protagonista. L'interpretazione di Paola Pace (che è stata anche regista dello spettacolo) è riuscita a scandagliare e cogliere molti degli aspetti più profondi e contraddittori di una personalità di donna tanto bella e luminosa quanto debole e sicuramente cedevole e perdente nei confronti del reale. Disinvolta e appropriata al personaggio dello psicanalista si rivelava anche l'interpretazione di Giovanni Rizzuti.

Giovanni Pasqualino

27/11/2018