RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Die Entführung aus dem Serail

al Teatro Comunale di Treviso

Interessante assistere in due giorni a due produzioni di Die Entführung aus dem Serail di Wolfgang Amadeus Mozart e metterle a confronto. È quanto mi è accaduto con Bologna e Treviso. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una trasposizione temporale dell'opera. Infatti, il regista Robert Driver sceglie di ambientare il Singspiel negli anni '20 del secolo scorso, subito dopo la fine del primo conflitto mondiale. Per il personaggio di Selim si è ispirato, molto liberamente, ad Ataturk il presidente della Repubblica Turca, indimenticato statista, che volle imprimere pur nel rispetto delle tradizioni una concezione di stato laico attingendo in parte alle moderne democrazie europee, delle quali era particolarmente ammiratore. La vicenda della storia dei quattro “prigionieri” europei è vissuta attraverso un bizzarro ma piacevole rifermento al cinema hollywoodiano del tempo, nel quale Konstanze è un alter ego di Mata Hari, una spia occidentale (ricordiamoci che la Turchia al tempo era di nuovo in guerra), Belmonte è il suo spavaldo e romantico amore spagnolo, Blonde donna libera della borghesia, Pedrillo il giovane sempliciotto innamorato di Blonde capace di trovare sorprendentemente la soluzione al problema, Osmin il fedele scudiero del Pascià, più “can che abbaia non morde” e non certo di raffinato intelletto, Selim-Ataturk il politico molto saggio di forte carattere, il quale pur ammirando l'Occidente da buon turco non comprende come la condizione femminile possa essere così “libera”. Ecco espresso in breve il filo drammaturgico di Driver, il quale a differenza del collega bolognese coglie tutti gli spunti che il libretto di Johann Gottlieb Stephanie e la musica di Mozart vogliono esprimere, anzi lancia un ponte forse traballante tra Europa e mondo islamico, ma quello che è certo è che non sono soppressi i caratteri sfaccettati dei personaggi: l'amore e il sentimentalismo tra le due coppie, la drammaticità e risolutezza di Konstanze, le ire furibonde di Osmin ma anche il suo lato comico, la saggezza del Pascià e la lezione sul perdono.

Uno spettacolo molto curato e ben disegnato drammaturgicamente, una regia piacevole allo stesso tempo tradizionale ma innovativa, potendo attingere a filmati cinematografici dell'epoca, un'idea piacevole. Un lavoro riuscito e ben congegnato, anche se alcune scene solo recitate sono state tagliate. Unico neo è stato quello di eseguire i parlati in lingua italiana. Non saprei dire chi ha avuto tale idea non brillante, poiché dopo aver ascoltato arie, duetti, quartetti, in tedesco era un pugno nello stomaco la recitazione in italiano. Inoltre, a parte la filologia che oggi è rispettata più di ieri, i parlati erano sintetici e con l'ausilio della traduzione nei sopratitoli non sarebbe stato tanto difficile seguire la vicenda anche per chi non conosce affatto il tedesco.

Molto belle le scene arabesche, di Guia Buzzi, che si aprono a soffietto, semplici ma stilizzate. La stessa Buzzi è autrice di costumi di altro tratto sartoriale e in stile con l'epoca scelta. Una menzione speciale per Roberto Gritti validissimo e raffinato ideatore delle luci e Lorenzo Curone per le belle proiezioni di spezzoni di vecchi film e vedute di Istanbul.

Sul versante musicale al primo posto dobbiamo mettere il direttore e maestro concertatore Francesco Ommassini. Innanzitutto il direttore ha avuto la geniale soluzione di alzare la buca dell'orchestra, con ciò abbiamo apprezzato un suono più incisivo e molto vicino a quanto era nell'originale del ‘700. Per problemi di spazio alcune percussioni e qualche ottone sono stati collocati nei palchi di prim'ordine di proscenio ma anche in questo caso il calibro era ben rifinito. La sua concertazione è stata molto incisiva e briosa, mantenendo sempre un ritmo molto incalzante e soprattutto teatrale. Abbiamo ammirato in particolare la precisone, la chiarezza di suono e la duttilità dell'interprete d'indiscusso valore. Ovviamente l'Orchestra Regionale Filarmonia Veneta non regge il confronto con quella del Comunale di Bologna, ma con qualche imperfezione si colloca su un livello di buona routine che potrebbe migliorare nel corso delle recite. Diversamente il Coro del Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, diretto da Francesco Erle, ha fornito prova di ottima professionalità e supera notevolmente il coro utilizzato in precedenti occasioni a Treviso.

Per quanto riguarda il cast vocale, potremmo citare il proverbio “Se Atene piange, Sparta non ride”, il quale evidenzia oggigiorno l'immensa difficoltà nel riunire una serie di cantanti adatti alle difficoltà dei ruoli. Se dobbiamo fare un paragone è giusto rilevare che le risorse di Bologna, poiché fondazione, sono ben diverse da quelle di Treviso, il cui teatro giustamente deve trovare delle collaborazioni e coprodurre i propri allestimenti.

Anche in questo caso i migliori sono stati l'Osmin di Manfred Hemm e la Blonde di Daniela Cappiello. Il signor Hemm ha voce di vero basso profondo, sostanzialmente ben amministrata e capace di eseguire la difficile parte con buona resa canora e ottime intenzioni espressive, cui si somma una vivacità teatrale equilibrata e non troppo caricata. La signora Cappiello ha voce squillante e ben amministrata, briosa e con una punta di civetteria adatta al personaggio, forbita nel registro acuto quanto in un gusto canoro cui va solo il plauso.

Ben diverse le note per la coppia principale d'innamorati, Konstanze e Belmonte. Jannette Vecchione-Donatti ha mostrato parecchie lacune tecniche soprattutto nella zona di passaggio e nel registro acuto. Non è dotata di una voce adatta al ruolo, la quale è sovente stridula e la zona grave è piuttosto afona. Martin Piskorski possiede una voce anche rilevante che non è in grado di amministrare cantando sempre sul mezzo forte-forte, poco espressivo e con limiti tecnici, tuttavia è riuscito a portare in fondo la recita.

Di buona professionalità il Pedrillo di Marc Sala, tenore leggero di oneste doti che non ha sfigurato nel suo compito. Selim Pascià non era interpretato da un attore ma da un cantante di fama come Bruno Praticò. Egli ha messo tutto il suo impegno in una parte di non sua comune frequentazione, ma le doti di recitazione erano un po' limitate.

Il teatro “Mario Del Monaco” di Treviso era molto gremito di pubblico, una bella visione se paragonata a certe assenze in spettacoli precedenti, pubblico che ha tributato al termine a tutta la compagnia un caloroso successo.

Lukas Franceschini

1/2/2017

Le foto del servizio sono di Piccini - Treviso.