RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Antudo

al Teatro del Canovaccio di Catania

La parola Antudo, secondo alcuni storici sicilianisti, sarebbe l'acronimo usato dai congiurati siciliani durante la rivolta antiangioina del Vespro del 1282 e conterrebbe le iniziali della frase Animus Tuus Dominus (il coraggio sia il tuo signore). Tale espressione pare sia stata adottata in tutte le successive rivolte isolane dai vari movimenti indipendentisti e nazionalisti.

Fermo restando che la rivolta del Vespro sembra sia stata più una congiura organizzata dagli stessi baroni siciliani contro l'oppressivo e gravoso domino francese che una spontanea rivolta popolare, rimane il dato di fatto inoppugnabile che qualsiasi tentativo di insurrezione dell'isola è stata sempre fatta oggetto di ingerenze politiche esterne atte a sfruttarne, condizionarne e strumentalizzarne le finalità di riscatto ed emancipazione sociale. Ad ostacolare tali finalità di riscatto ed emancipazione dell'isola sono stati, nel corso dei secoli, i gruppi dirigenti autoctoni avidi e predatori che hanno sempre svenduto gli interessi del popolo per tornaconto personale e per arricchirsi spudoratamente. Il metodo usato da questi potentati autoctoni è stato quello consueto che è possibile ravvisare in ogni nazione nel corso della storia: da un lato proporsi come garanti e difensori della propria patria e quindi tenere a bada e pilotare gli umori della propria gente, dall'altro farsi strumenti di occhiuta rapina e diventare punti di riferimento, di fatto complici, dei dominatori e degli sfruttatori esterni.

Insomma, tanto per fare un esempio concreto, agivano nei secoli passati né più né meno come oggi agiscono i nostri politici del Parlamento Siciliano: quando le cose vanno male attribuiscono tutte le colpe al cattivo e predatore governo italiano, quando invece le cose vanno bene il merito è tutto loro e del loro amor patrio, fingendo di dimenticare che l'odiato governo italiano viene spesso in loro soccorso sanando buchi e ammanchi milionari di città, provincie e regione, come recentemente avvenuto per i default della città di Catania e della Regione Siciliana (non si può neanche omettere, per onestà intellettuale, di ricordare la celebre e celebrata Cassa per il Mezzogiorno istituita con legge del 10 agosto 1950 e soppressa solo nel 1984).

Il più importante e significativo tentativo di rendere la Sicilia indipendente fu perseguito nel corso dell'ultima guerra mondiale, fra il 1943 e il 1945, quando nacquero il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano) e l'EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia) che produssero manifestazioni, proteste e conflitti che portarono a riconoscere all'isola uno Speciale Statuto di Autonomia. Ma anche all'interno del MIS erano presenti varie anime, tre in particolare: la prima era rappresentata da Andrea Finocchiaro Aprile (capo del movimento) sempre moderata e opportunista; la seconda dall'indipendentismo di destra che giocava la carta anticomunista e antirepubblicana; la terza era quella rappresentata dal gruppo catanese di Antonio Canepa che si rifaceva a idealità di sinistra e che propugnava un indipendentismo di stampo socialista. Non ci pare affatto casuale che quest'ultima anima «sociale» dell'Indipendentismo siciliano sia stata subito liquidata dopo la morte di Canepa, avvenuta a Randazzo il 17 giugno del 1945, con il rimpiazzo di Concetto Gallo «separatista di destra».

Non possiamo neanche omettere la manipolazione da parte di potentati, agrari e latifondisti del movimento indipendentista siciliano, tant'è che lo stesso bandito Salvatore Giuliano venne nominato colonnello dell'EVIS e si prestò a diventare l'esecutore materiale di quell'esecrabile e ripugnante azione che fu l'eccidio di Portella della Ginestra, portato a compimento nel 1947 con la vile uccisione di undici lavoratori siciliani inermi che celebravano la festa del 1° maggio.

Al Teatro Canovaccio di Catania è stato presentato lo scorso 6 febbraio (repliche il 7-8-13-14-e 15) il dramma Antudo di Eliana Esposito, testo ambientato in una Sicilia del futuro dove l'omologazione mondialistica e la globalizzazione sono oramai un dato di fatto assodato e dove sono superate regioni e nazioni in una società economicamente e politicamente supercontrollata da Grandi Fratelli che la soffocano e la opprimono senza lasciare alcuno spazio alla libertà. In questo contesto il Sicilianismo diventerebbe l'ideologia del riscatto nazionalistico dall'Italia e dall'Europa di tutta l'isola. Di fatto il testo viene improntato a un patriottismo trionfalistico alquanto retorico e superficiale, secondo il quale con la sua totale indipendenza la Sicilia riuscirebbe a lenire tutti i suoi mali politici e sociali, diventando una specie di Eden terrestre. Praticamente lo stesso discorso portato avanti oggi dai leghisti separatisti della Lombardia e del Veneto. Di fatto però esso non sviluppa e non scava nella dialettica potere-popolo, nella correlazione e nelle interconnessioni economiche e politiche che hanno reso contemporaneamente succuba ma nello stesso tempo predatrice la Sicilia nei confronti dello stato italiano. Perché se è vero che il popolo siciliano è quello che ha creato una parola nobile ed eroica come Antudo è lo stesso popolo che ha creato tipologie di saluto meschine e servili come: voscenza benedica (vostra eccellenza mi benedica) e baciamo le mani, frasi rispecchianti la tipica mentalità mafiosa. Gli uomini con la schiena dritta non baciano le mani a nessuno e non si piegano davanti a nessuno!

A parte la debolezza del testo che andrebbe sicuramente approfondito, elaborato in modo più articolato e problematizzato, lo spettacolo ci è parso nel complesso ben riuscito sia per l'interpretazione partecipata dei tre attori Giuseppe Aiello, Paolo Toti e Raffaella Esposito, sia per l'inquietante scenografia e gli effetti di Alvalenti, sia per il disegno luci di Simone Raimondo, sia per i costumi di Ariana Talia, sia infine per la congruente regia di Eliana Silvia Esposito che ha conferito una certa unitarietà ed equilibrio a tutta l'azione drammaturgica. Le splendide musiche di Vincenzo Bellini, adattate con oculata circospezione, sono state la cullante amaca sulla quale si è adagiata l'intera rappresentazione. Ottima anche l'idea di creare una recitazione mista sviluppata su due piani: il piano tridimensionale teatrale e quello filmico bidimensionale, che riuscivano a compenetrarsi in modo congruente e appropriato.

Giovanni Pasqualino

16/2/2020