Vi ravviso, o luoghi ameni
Delicato cammeo agreste della produzione belliniana, La Sonnambula rappresenta in certo senso il momento di massima conciliazione del melodramma nei confronti del potere: affermazione che potrebbe sembrare strana, ma che ad un'attenta disamina del libretto e del personaggio che funge da deus ex machina della situazione, il Conte, un nobiluomo di assoluta onestà e dirittura morale, capace di sacrificare le proprie brame erotiche per salvaguardare la virtù di una villanella, si rivela sufficientemente vera, specie tenendo conto dell'anno di composizione dell'opera, il 1831, e della città in cui debuttò, Milano. Un anno ed una città segnati, come tutta l'Italia, da una dominazione straniera, spesso codina, ottusa e feroce, come appunto nel Lombardo-Veneto, e da una nobiltà che, tranne isolati casi di apertura culturale, patriottismo e ancor più radi esempi di attiva partecipazione ai moti insurrezionistici, a poco o nulla rinunciava dei suoi privilegi, schierandosi anzi apertamente per lo straniero o per un papato altrettanto supino agli interessi austriaci. Inoltre, pensando all'altra sublime creatura belliniana nata meno di un anno dopo la dolce e tenera Amina, non si può non rimanere stupiti dall'enorme balzo in avanti compiuto da Bellini soprattutto sul fronte drammaturgico: tanto Amina è un personaggio statico, che esprime sentimenti di maniera, cristallizzati nella forma della dolente elegia, tanto il dinamismo interiore e la complessità psicologica di Norma balzano fuori da una musica e da un libretto che, pur se parzialmente, rompono già i confini della struttura tradizionale del melodramma protottocentesco, in una coesione drammatica ed in una coerenza interna che avranno certo influito sul lavoro di Verdi.
Alla luce di tali riflessioni, che riguardano più la sociologia del melodramma che gli aspetti più propriamente musicali, non si può non plaudire alla scelta del Teatro Massimo Bellini di Catania, che ha deciso di riprendere, per la sua edizione della Sonnambula, in scena dal 25 maggio fino al 1° giugno, le scenografie originali di Alessandro Sanquirico, usate appunto per la prima dell'opera al Teatro Carcano di Milano il 6 marzo 1831. Le scene di Sanquirico sono indubbiamente suggestive, ma soprattutto utili per lo storico che voglia comprendere l'evoluzione della regia melodrammatica: si tratta infatti di fondali di grande impatto visivo, in totale linea con l'iconografia tradizionale che già da secoli prescriveva l'uso di scene dai connotati abbastanza fissi, tra le quali vanno ricordate l'orrida e la deliziosa, corrispondenti più o meno ad un paesaggio di forre e dirupi e ad uno di ridenti vallate montane. Tutto ciò è presente nelle scene del Sanquirico, con una stilizzazione che, all'addestrato occhio moderno, risulta da una parte gradevole come rimembranza storica, dall'altro svela però impietosamente i suoi limiti, espressi in eccessiva stilizzazione, avida ricerca di una tridimensionalità sfociante talora in incoerenze prospettiche, e in incongruenze quali i sontuosi fondali della camera del Conte nella locanda di Lisa, più adatti ad una dimora rinascimentale che ad un'osteria di campagna.
La ripresa però della scenografia di Sanquirico, e in ciò sta la validità dell'operazione, offre una visione storica di Sonnambula, riproponendola appunto, complici anche i bellissimi e accurati costumi di Veronica Patuelli, quasi quale la vide il pubblico milanese del 1831. Un fascino retrò di grande impatto, vivificato dall'intelligente regia di Alessandro Londei, che pur optando per una gestualità tradizionale ha però inserito alcuni elementi molto suggestivi, come la scelta di puntare le luci sul Conte durante la sua aria di sortita, creando un effetto visivo di rimembranza col solo lasciare in ombra gli altri protagonisti e le masse corali. Ottima anche l'idea di far mimare a due ballerini il Conte anziano che scaccia il figlio, reo di una passione amorosa, volutamente lasciata in ombra nel libretto di Romani, fra il giovane nobiluomo e, probabilmente, la madre naturale di Amina.
E con tale reticenza, giustamente ed acutamente esplicitata dal regista, veniamo a quel che si diceva prima, cioè alla Sonnambula come opera di pacificazione col potere costituito, da parte di un musicista che pare avesse avuto guai con la polizia già negli anni del Conservatorio. E forse il fascino dell'opera sta proprio in questo suo delicato disimpegno, quasi un'oasi paradisiaca che ricorda i quadri di Watteau, colmi di damine incipriate e infiocchettate sulle quali, in lontananza, incombeva lo spettro della Rivoluzione Francese.
Questo fascino agreste e idilliaco è emerso in tutta la sua suggestione alla prima de La Sonnambula del 25 maggio, complice l'attenta direzione di Sebastiano Rolli, che ha saputo guidare con gusto e discrezione l'orchestra del Bellini, evitando di sovrastare i cantanti, anzi calibrando i tempi orchestrali su di essi, permettendo così non solo ai recitativi belliniani di dispiegarsi in tutta la loro armoniosa lunghezza, ma anche ai protagonisti di cesellare con notevole agio i punti più incisivi, più dolenti o più elegiaci delle loro arie.
Dario Russo, nei panni del Conte, ha confermato di essere un basso in sicura crescita artistica: misurato, quasi ieratico nel gesto scenico, ha dispiegato ancora una volta ottima tecnica ed eccellente tenuta dei fiati, unite ad un timbro vellutato che ha strappato entusiastici applausi alla fine della celebre “Vi ravviso o luoghi ameni”.
Dopo qualche incertezza iniziale, notevole la prova di Giulia Semenzato, Lisa, soprano di buona estensione e di robusta tecnica, così come quella di Sonia Fortunato nei panni di Teresa.
Jesus Leon ha restituito ad Elvino tutta la dolcezza e grazia del ruolo, senza mai forzare, mantenendosi all'interno di un lirismo elegiaco lontano dalle roboanti deviazioni drammatiche spesso così apprezzate da certo pubblico: buon tenore di grazia, ha sfoggiato una notevole tecnica e una discreta copertura degli acuti, mostrando anch'egli di saper curare particolarmente i difficili recitativi belliniani, già ben lontani dall'esclusiva funzione di ponte per l'aria dei compositori precedenti.
Infine, strepitosa Irina Dubrovskaya, soprano lirico siberiano: dotata di una tecnica agguerrita e di un physique du rôle che ne ha fatto un'Amina perfetta, ha mostrato non solo notevole padronanza scenica e perfetto controllo delle sonorità, ma anche ampia estensione vocale ed ottima dizione, unite ad un'eccellente copertura negli acuti e ad una pregevole esecuzione di tutti gli abbellimenti e fioriture, dai trilli alle roulades, che ne ha fatto un'interprete accuratissima delle cabalette, tutte riprese con variazioni. Di particolare rilievo la naturalezza della cantante nel porgere il particolarissimo legato belliniano, onda avvolgente che ha impresso un'aura di sognante lirismo sia alle scene di sonnambulismo, sia soprattutto alla celeberrima "Ah non credea mirarti".
Giuliana Cutore
26/5/2016
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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